'Perfetti sconosciuti', Paolo Genovese:
"Piace perché è come una seduta d'analisi"

'Perfetti sconosciuti', Paolo Genovese: "Piace perché è come una seduta d'analisi"

di Alessandra De Tommasi
La lotta di Davide contro Golia al botteghino l’ha vinta lui, Paolo Genovese, con la commedia Perfetti sconosciuti incentrata sui segreti nascosti (e poi rivelati) nei telefonini. Con oltre 7 milioni e mezzo di incassi in due settimane ha superato proprio tutti, da The Hateful Eight di Quentin Tarantino a Deadpool, il supereroe dissacrante di Ryan Reynold.

Al lavoro sul capitolo due?
«Niente sequel, non se ne parla: questo successo mediatico ci ha preso alla sprovvista. Ci siamo detti: “Usciamo in contemporanea con Sanremo e Juve-Napoli, contro Zoolander 2 e l’ultimo film Disney, Zootropolis. Che Dio ce la mandi buona!”. Poi con gli attori abbiamo provato, per gioco, a trovare un tweet negativo sul film e non lo abbiamo trovato».

Di chi è il merito?
«Del tema scomodo, quasi una seduta di analisi collettiva, pirandelliana».

Il telefonino ci ha cambiato la vita e racchiude tutto, compreso quello che non vorremmo far sapere. Quanto conosciamo chi ci sta accanto? E soprattutto: vogliamo conoscerlo fino in fondo? Avvertenze?
«Non andate a vedere il film con le fidanzate e non rifate a casa il gioco dei personaggi».

Durante una serata, infatti, leggono gli sms e ascoltano le telefonate gli uni degli altri: pericolosissimo…
«Infatti a dieci minuti dalla fine si smette di ridere, è un film senza speranza, amaro, diverso. Come dissero i Taviani: non bisogna dare al pubblico ciò che gli piace, ma quello che non sa ancora di poter amare».

Dal Terminillo Film Festival al mercato della Berlinale, ha riscosso consensi…
«Il film ha avuto richieste di remake ed è stato comprato ovunque perché è universale e ti fa sentire spiazzato all’uscita dalla sala, anche del personaggio più negativo pensi: Al posto suo cos’avrei fatto?»

Già si parla di “erede di Checco Zalone”…
«C’è tanta superficialità nei paragoni, anche se lusinghieri. C’è chi parla di “erede di Scola”, cazzate! Ognuno ha un modo di raccontare e a volte fa centro. L’unica cosa a cui aspiro è essere considerato un regista di commedia, nel senso più alto, di quella che con ironia affronta temi importanti».

Giovedì sfiderà anche “Lo chiamavano Jeeg Robot”…
«Ne sono felice: è un ottimo lavoro, un altro esempio di come fare una commedia italiana davvero originale!».
Ultimo aggiornamento: Martedì 23 Febbraio 2016, 08:04
© RIPRODUZIONE RISERVATA