Marcorè: «Con Zamora narro fragilità e i movimenti dell’animo»

Debutto da regista. Il film tratto dal libro di Perrone

Marcorè: «Con Zamora narro fragilità e i movimenti dell’animo»

di Michela Greco

«Mi piace che il film lasci una sensazione di buono, che la storia sia capace di portare lo spettatore altrove rispetto al presente preoccupante che stiamo vivendo. Zamora non è un film di evasione, non era quello il mio obiettivo, ma il fatto che permetta questa sorta di fuga mi piace». Zamora è il primo film da regista di Neri Marcore - in sala dal 4 aprile – e immergersi nelle sue atmosfere anni ’60, tra gli uffici di un’azienda fantozziana in cui il capo costringe i dipendenti alla partita di calcio tra scapoli e ammogliati, è come trovare un temporaneo rifugio dall’aggressione della cronaca. Quella dell’attore marchigiano però, non è appunto una fuga, ma l’esplorazione di una storia che conosceva bene, tratta dal libro omonimo di Roberto Perrone. Protagonista è il ragionier Vismara (Alberto Paradossi), catapultato dalla provincia a Milano, dove trova un nuovo lavoro, una donna di cui innamorarsi (Marta Gastini) e lo smarrimento di un contesto in cui si sente inadeguato. Sarà obbligato a giocare a calcio con i colleghi ma, essendo poco dotato, opterà per il ruolo di portiere, venendo soprannominato Zamora (come il portiere spagnolo). Ad allenarlo per cavarsela sarà un ex-portiere famoso (Neri Marcorè).

Perché ha scelto proprio questa storia per l’esordio alla regia?

«Ci sono tante analogie col mio modo di essere, di uno arrivato dalla provincia con le sue insicurezze e fragilità.

Sono movimenti dell’animo che volevo raccontare. E poi mi piaceva mostrare Milano, una città cinematograficamente più vergine di Roma, e gli anni ’60, un’epoca fatta anche di ingenuità, in cui potevo fare emergere i contrasti più limpidamente».

Si è ritagliato il ruolo del mentore. Lei ne ha avuti?

«Molti e grazie a loro ho capito molte cose. Nella professione ci sono stati Michele Mirabella, che incontrai al primo lavoro in tv e fu mio maestro di sketch; e Michele Gammino, che mi ha insegnato il doppiaggio. E poi Pupi Avati per il cinema e Serena Dandini per lo spettacolo in tv».

Per il ruolo di protagonista ha scelto un volto poco noto, perché?

«Combatto una regola che per me non ha molto senso: perché si usano sempre le stesse facce se ci sono tanti bravi attori che aspettano la loro occasione? Non credo che la gente vada al cinema per i nomi sulla locandina, semmai ci va per il passaparola. Mi piaceva, in questo, segnare una differenza».

Già pronto per l’opera seconda?

«Mi godo il presente, vediamo come va Zamora. Qualche idea ce l’ho, ma per il momento cerco di accompagnare questo mio primo film meglio che posso, poi si vedrà. Di sicuro questa prima regia è stata un’esperienza gioiosa e formativa che non vedo l’ora di ripetere».


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 27 Marzo 2024, 06:45
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