La difesa comune europea è un «progetto di lunghissimo termine», per il generale Vincenzo Camporini, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica e della Difesa. Una prospettiva che si scontra con l’eterogeneità dei sistemi d’arma prodotti in Europa e gli egoismi nazionali, con la frammentazione dell’industria bellica non in grado di accedere a un’economia di scala, con la diversità delle percentuali di budget nazionale destinate alla difesa, con i differenti approcci politici e giuridici all’esportazione di armi, con la leva obbligatoria limitata a pochissimi Paesi (Danimarca, Estonia, Finlandia, Lituania, Svezia, Austria, Cipro e Grecia, oltre alla Svizzera), e soprattutto con l’assenza di un’autorità titolata a prendere decisioni nel mezzo di una guerra.
Per dirla col rapporto di aprile della Fondation Robert Schuman, la Ue non è «un’alleanza né un’organizzazione per la sicurezza collettiva», né per la «difesa collettiva» come invece la Nato. Il generale Camporini ricorda che gli Stati d’Uniti sono nati nel 1776, «ma l’esercito federale è stato creato dopo la Guerra di Secessione, quasi un secolo dopo, intanto le operazioni venivano condotte coi reparti dei singoli Stati, comandati da un centro unico. Proprio ciò che manca all’Europa: una struttura di comando che risponda a un vertice politico unico». La Brexit ha rappresentato un ulteriore problema. «È difficile portare avanti programmi congiunti di produzione militare – spiega il generale Camporini – e infatti del carro armato europeo parlano da anni francesi e tedeschi, che inizialmente hanno escluso gli italiani mentre ora pare vi sia un’apertura verso di noi grazie al ministro Crosetto». Ma l’Italia si è dovuta alleare con inglesi e giapponesi per il progetto di aereo da combattimento europeo GCAP, mentre francesi, tedeschi e spagnoli si sono alleati nel programma FCAS, impantanato per le diversità di vedute tra Parigi e Berlino sull’export militare. E al di là degli armamenti, c’è una questione sollevata in Germania e Gran Bretagna, che forti dell’insegnamento impartito dalla guerra russo-ucraina hanno scoperto di non essere pronte a schierare abbastanza soldati sul campo di battaglia. «Tutti gli organici dell’esercito di terra inglese sono di poco superiori a 70mila, potrebbero entrare nello Stadio di Wembley», dice Camporini.
ARMI E MUNIZIONI
Secondo il rapporto della Fondation Robert Schuman, la guerra in Ucraina ha spinto i progetti di difesa europea, così come la minaccia trumpiana di disimpegno dalla Nato e dall’Europa verso il Pacifico (disegno, in realtà, partito all’epoca della presidenza Obama). I fondi dell’European Peace Facility sono saliti a 12 miliardi di euro ed è stata finanziata la produzione di 1 milione di munizioni l’anno. Ma non basta. Tema decisivo è l’autonomia della produzione industriale bellica, con sistemi d’arma che non debbano dipendere dagli americani. I 27 Paesi della Ue hanno aumentato le spese per la Difesa del 40 per cento rispetto al 2014. Sullo sfondo resta la questione dell’arma nucleare, posseduta solo da Francia e UK, anche se testate Usa sono presenti in vari Paesi europei, comprese Italia e Germania. E anche la Polonia le vorrebbe.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 6 Maggio 2024, 00:36
© RIPRODUZIONE RISERVATA