Carbonara Day, la migliore del Lazio è quella di chef Nabil Hadj Hassen: la ricetta e i consigli per un’esecuzione infallibile

A premiare questo piatto con il titolo di “Campione della tradizione 2024” è stata, lo scorso dicembre, la Guida del Gambero Rosso

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di Sabrina Quartieri

L’umiltà è stata la chiave del suo successo, volendo imparare ogni giorno sempre di più, con rispetto verso gli ingredienti e ascoltando i consigli di chi ne sa più di lui. È un grande uomo, prima di essere un rinomato chef, il tunisino Nabil Hadj Hassen, da settembre 2021 a capo della brigata di cucina del ristorante Baccano Bistrot a Roma. Colui che, a un passo da Fontana di Trevi, realizza la migliore carbonara del Lazio, dopo 23 anni trascorsi nella Città eterna. A premiare questo piatto con il titolo di “Campione della tradizione 2024” è stata, lo scorso dicembre, la Guida del Gambero Rosso, nella specifica categoria della pasta con uovo, guanciale e pecorino romano. Una pietanza iconica, simbolo della veracità romana, che sabato 6 aprile torna a essere celebrata in occasione del “Carbonara Day”. Un appuntamento festoso che verrà onorato da tutti gli indirizzi di riferimento dell’amatissimo piatto capitolino “da leccarsi i baffi” e Baccano Bistrot non mancherà all’appello. 

La pasta alla carbonara di chef Nabil Hadj Hassen (foto di Filippo Caroti)

Ci descrive la sua carbonara?

«Punto molto sulla materia prima. Io uso pasta artigianale, un rigatone Benedetto Cavaliere, con un tipo di grano di assoluta qualità, che cuoce in 18 minuti. L’uovo è bio di galline Marans, di cui uso il tuorlo e un quarto della parte chiara per porzione. Il pecorino è rigorosamente romano, il guanciale è stagionato di circa sei mesi e il pepe è quello profumato di Sarawak. La pasta rimane molto cremosa, perché faccio grande attenzione alla cottura dell’uovo, per evitare che si strapazzi». 

Ci dica di più.

«In particolare, prendo una bowl e ci metto dentro l’uovo, il pecorino e il pepe, amalgamando molto bene; poi appoggio il composto su un bollitore a pastorizzare. Nel frattempo, in una padella antiaderente o in ferro, molto calda, preparo il guanciale a secco, per non perdere la croccantezza, e che metto alla fine. Intanto la pasta ha cotto, la riverso nella bowl dopo aver aggiunto un cucchiaino di grasso del guanciale a porzione».

Ma qual è il segreto del successo?

«Prodotti di qualità da trattare con cura; mai abusare con le cotture per non perdere i sapori; l’amore in ogni caso, anche per fare un semplice piatto di pasta; e, infine, l’umiltà davanti ai fornelli, è quello che rende tutto ciò che cucini speciale e che sarà sempre premiato da chi lo mangia. Poi, nella pratica, consiglio nel momento in cui si manteca la pasta, di essere rapidi per evitare che si addensi troppo la crema. Qualora accadesse, si può sempre aggiungere un po’ di acqua di cottura, facendo attenzione che sia salata al punto giusto, leggermente sotto la normalità».

La preparazione della pasta alla carbonara (foto di Filippo Caroti)

A chi deve questo traguardo?

«Ringrazio le persone esperte che mi hanno dato delle basi per cucinare, da tunisino, un piatto italiano come la carbonara. Su tutti, Arcangelo Dandini, da cui sono stato in veste di allievo una settimana durante i miei 18 anni di lavoro da Roscioli.

Lì poi ho immaginato la tecnica del bowl, che ancora utilizzo e che mi ha portato a conquistare 4 volte il titolo di “Campione della tradizione” per la carbonara (la prima volta nel 2007)». 

Dov’è nata la sua passione per la cucina?

«È stato nel 1987 quando vivevo a Pantelleria, dove ho ricevuto una proposta di lavoro come lavapiatti in un ristorante di un palermitano. Ho iniziato così, dalla gavetta. È stato questo signore che per primo ha voluto credere in me. Con lui abbiamo instaurato un rapporto umano e di confidenza, poi è arrivata l’offerta di passare ai fornelli. E da lì è andata come è andata».

Cosa ricorda della cucina di casa dell’infanzia?

«Sono cresciuto in un posto di mare, Monastir, e vengo da una famiglia di pescatori. In casa non mancava mai il cous cous di pesce, né tanto meno la frittura che cucinava mia mamma». 

Com’è finito a fare il cuoco e poi lo chef in Italia?

«Io in Tunisia studiavo da geometra, ma nel 1981, a 17 anni, mi sono imbarcato su un traghetto per Trapani con tappa finale Pantelleria, dove lavorava un mio cugino. Era il mio desiderio di divertirmi e fare una bella vita a spingermi ad avventurarmi altrove; ero giovane e spensierato, ma con tanta voglia di fare. Che bei tempi, eravamo pochissimi stranieri sull’isola, ricordo che la gente mi scrutava e mi chiamava “Il turco”». 

A casa prepara la carbonara?

«Io non cucino nulla a casa, mia moglie, tunisina, è una bravissima cuoca. È una mia ex compagna di classe, ma l’ho sposata solo nel 2000, dopo averla rivista in vacanza al paese nel 1999. I miei figli invece sono sempre davanti a Masterchef, hanno proprio la passione per i fornelli e si applicano in questo, anche se a uno di loro ho sconsigliato di fare la scuola alberghiera e intraprendere la mia carriera. È una vita di sacrificio. Per farla devi avere qualcosa dentro, una luce, e sapere bene cosa è giusto per te e a cosa si va incontro». 

I prodotti usati da chef Nabil Hadj Hassen (foto di Filippo Caroti)

Ai suoi clienti fa dei piatti della sua infanzia?

«Ai miei clienti io do il cuore, faccio qualunque cosa mi chiedano. A una di essi ho cucinato il pollo alla marocchina, accontentandola, ma è capitato anche di preparare il cous cous di pesce, come lo faceva mia mamma». 

La sua è anche una storia di rivincita, che può essere di esempio. Vuole dire qualcosa a chi cerca nell’Italia una seconda possibilità?

«Io ero solo un ragazzo con molto entusiasmo e tanta voglia di vivere. Sono arrivato in un Paese all’apice del suo benessere, era pieno di possibilità. Oggi si sono ridotti gli spazi delle opportunità per tutti. Nel 1981 era un’altra Italia e noi stranieri eravamo pochi; oggi non stanno bene neppure gli italiani e molti lasciano il Paese. Chi arriva qua, spesso, non sa a cosa va incontro. Mio fratello è venuto nel 2011 ed è tornato indietro, dopo poco tempo. Ai miei nipoti in Tunisia consiglierei di trovare la propria strada a casa: usando la testa e impegnandosi fin da subito, anche lì ci si può realizzare».


Ultimo aggiornamento: Sabato 6 Aprile 2024, 09:18
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