La violenza sulle donne modifica il Dna, lo studio delle "cicatrici": «Si può ​migliorare la qualità della vita delle vittime»

Studiare le modifiche al Dna causate dalla violenza sulle donne potrebbe essere la chiave per limitare al massimo l'insorgenza di patologie collegate al trauma subito

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di Redazione Web

Il tema della violenza sulle donne non si è mai realmente sopito ma certamente in questo ultimo periodo l'attenzione è più che mai concentrata su ciò che tutti noi possiamo fare per risolvere il problema e imboccare finalmente la giusta strada. 

Sebbene le parole siano sempre tante, è giunto il momento dell'azione: si richiedono provvedimenti e soluzioni concrete che possano far sentire le donne più al sicuro. Tutto ciò, naturalmente, deve essere affiancato dalla prevenzione, che passa certamente dall'educazione e da un cambiamento sistematico e culturale, ma che è sostenuta anche dal progresso scientifico e dalla ricerca. 

È questo il caso del nuovo studio dell'Istituto Superiore della Sanità: l'analisi del genoma apre la strada alla prevenzione personalizzata. Vediamo come.

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Le cicatrici del Dna ci parlano: il progetto EpiWe

Le modifiche al Dna causate dalla violenza sulle donne potrebbero essere ancora più estese di quanto emerso finora dagli studi scientifici: scoprire per quanto tempo perdurano queste "cicatricì", infatti, potrebbe essere la chiave per limitare al massimo l'insorgenza di patologie collegate al trauma subito.

A questo scopo è iniziata la fase multicentrica del progetto EpiWe (Epigenetics for Women), che è stata presentata oggi durante il «Convegno del progetto multicentrico EpiWE, epigenetica della violenza sulle donne: verso una prevenzione di precisione» che si è tenuto all'Istituto Superiore di Sanità. Lo studio pilota EpiWE condotto in collaborazione con l'Università di Milano, ha già messo in evidenza che la violenza provoca le cosiddette modifiche epigenetiche (ovvero induce l'attacco o il distacco di «tag» sui geni che ne influenzano l'attività).

Adesso si amplia il campione di donne e si studia l'intero epigenoma delle pazienti, anche attraverso una biobanca dedicata.

Al momento del prelievo, e nei richiami del follow-up, i campioni biologici saranno corredati con una serie di dati sul benessere psicofisico della donna, con particolare riguardo alle patologie stress correlate. 

Simona Gaudi e Loredana Falzano, ricercatrici del Dipartimento Ambiente e Salute e del Centro nazionale di salute globale, spiegano: «Studiare l'intero epigenoma potrebbe essere predittivo per gli effetti a lungo termine della violenza, mettendo in luce l'origine delle patologie non trasmissibili, consentendo la messa in atto di strategie innovative e di prevenzione di precisione. Le potenzialità dello studio epigenetico multicentrico, realizzabile grazie anche alla costituzione della biobanca, potrà, insieme alle cure standard, perfezionare la gestione di ogni singolo caso con una valutazione più ampia e obiettiva delle cicatrici lasciate dall'evento violento. A lungo termine, questo approccio consentirebbe di ottimizzare il trattamento, migliorare la qualità della vita delle vittime e non ultimo, fornendo una più obiettiva caratterizzazione del danno, consentirebbe di dare prospettive medico-legali migliori».

Nel corso della giornata verranno illustrati anche i passi in avanti che si stanno facendo per riuscire ad acquisire dati comparabili, regolarmente aggiornati e interconnessi. Nel 2019, infatti - evidenzia la nota - è stata istituita la Banca dati sulla violenza di genere che prevede la collaborazione tra Istat e ministero della Salute, al fine di monitorare questa 'pandemia silentè e offrire gli strumenti adeguati per un'analisi puntuale delle cause e delle conseguenze del fenomeno. Si vorrebbe arrivare al risultato di avere una chiave di linkage individuale che permetta di seguire la stessa donna all'interno di diverse basi-dati per consentire l'identificazione di profili di salute riconducibili all'evento traumatico e di violenza. 


Ultimo aggiornamento: Venerdì 24 Novembre 2023, 15:59
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