Inchiesta Covid, Conte ai pm: «Fontana non chiese la zona rossa». Il giallo del piano segreto e i ritardi per tradurre dall'inglese

Nelle quasi 2.500 pagine non si fanno sconti a nessuno: né al governo centrale né al governatore lombardo Attilio Fontana, da poco riconfermato

Inchiesta Covid, Conte ai pm: «Fontana non chiese la zona rossa». Il giallo del piano segreto e i ritardi per tradurre dall'inglese

di Domenico Zurlo

Dagli atti dell'inchiesta di Bergamo sulla prima ondata della pandemia di Covid-19 arrivano accuse choc contro il Governo, la Regione Lombardia, l'Istituto Superiore di Sanità e in generale tutte le autorità sanitarie coinvolte, che secondo le accuse avrebbero perso troppo tempo nelle prime fasi del disastro. Le conclusioni contenute negli atti della Procura di Bergamo, che ha ricostruito - in un'indagine durata circa tre anni -  l'inizio della pandemia, si legge che «dalla documentazione esaminata emerge che la macchina organizzativa del ministero della Salute ha mostrato carenze, ritardi e inefficienze».

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Covid, gli atti dell'inchiesta non risparmiano nessuno

Tra gli indagati compare anche l'ex ministro della Salute Roberto Speranza. «Solo dopo il 20 febbraio 2020 è iniziato un frenetico e caotico tentativo di organizzare il sistema di risposta. Prima di quella data, poco o nulla è stato fatto, ad ogni livello, anche in ragione della frammentazione delle responsabilità e della poca chiarezza della linea di comando», si legge nelle quasi 2500 pagine di indagine.

Del resto, il Ministero, prima del 21 febbraio 2020
«non risulta aver adottato una efficiente politica preventiva, limitandosi a un blocco dei voli diretti dalla Cina (che non ha certamente inciso positivamente), all'installazione di termoscanner negli aeroporti di Milano e Roma, all'istituzione di una task force senza poteri decisionali (difatti non ha poi adottato alcun provvedimento) e poc'altro, come, peraltro, emerge dai resoconti ministeriali» si evidenzia. Invece di adottare «provvedimenti preventivi che ne limitassero la diffusione, quali il piano pandemico e i protocolli per Sars Cov 1 e Mers-Cov, si è restati in attesa degli eventi connessi al diffondersi del virus con effetti sull'espansione della pandemia».

«La scelta di non adottare sin da subito il piano pandemico e di iniziare a redigerne uno nuovo ha, verosimilmente, comportato - una volta sopraggiunta l'emergenza senza che questo ultimo documento fosse ultimato - una impreparazione e disorganizzazione dell'intero sistema nazionale e regionale. E, comunque, il Cts ha poi deciso di secretare il piano, su concorde parere del ministro Speranza», si legge ancora negli atti dell'inchiesta.

Covid, il giallo del piano segreto

La proposta di redigere un nuovo piano risulta avanzata da Silvio Brusaferro, presidente dell'Iss e il 12 febbraio 2020, il Cts dà formale mandato ad un gruppo di lavoro interno «di produrre, entro una settimana, una prima ipotesi di piano operativo» e il relativo verbale riporta tre scenari, basati sui dati cinesi. Dall'analisi degli atti e in particolare di una mail «tra il 24 ed il 25 febbraio 2020, l'ex presidente del Consiglio (Giuseppe Conte, ndr) avrebbe verosimilmente ricevuto il piano riservato», documento che contiene gli scenari di Merler.

«Il peggior scenario ipotizzato dal piano era benevolo rispetto alla cruda e grave realtà, con l'ovvia conseguenza che sin da subito il Cts avrebbe dovuto proporre ed il governo adottare, provvedimenti restrittivi ben più incisivi, istituendo la zona rossa per l'intero territorio lombardo e sospendendo le attività produttive non essenziali». Invece il piano Covid «sino a quel momento elaborato, viene completamente abbandonato» e dal 13 marzo 2020 l'Iss «si occuperà della redazione di un suo piano di risposta al Covid. Da questo momento in poi, quindi, non si parlerà più del piano riservato, né - si legge negli atti - verrà adottata alcuna deliberazione per l'approvazione del medesimo piano».

Ritardi con l'Oms per tradurre dall'inglese

C'è un capitolo dedicato alle «Carenze nella gestione dell'emergenza da parte del Ministero della salute» tra le quasi 2500 pagine della chiusura inchiesta sulla prima fase della diffusione del Covid. In particolare, si elencano «i ritardi, le inadeguatezze, le inefficienze e le carenze ministeriali» e tra i vari punti sull'«insufficienza delle misure preventive adottate» si evidenzia come «la Direzione prevenzione del Ministero della Salute non disponeva di personale in grado di tradurre correttamente dall'inglese all'italiano, atteso che i documenti da tradurre venivano inviati alla società 'Networld srl', con sede in Cagliari».

Questa circostanza, si legge, «potrebbe spiegare il perché di alcuni provvedimenti ministeriali sono stati adottati diversi giorni dopo la pubblicazione da parte di Oms (ci si riferisce, tra gli altri, all'alert del 5 gennaio 2020, diramato dal Ministero il 9 gennaio 2020, alla definizione di caso di Oms del 15 gennaio 2020 diramata il 22 gennaio 2020 e alla definizione di caso di Oms del 21 gennaio 2020, diramata dal Ministero il 27 gennaio 2020».

Non solo: «il Ministero della salute non disponeva di un ufficio per le emergenze attivo h24 e questo concorre a spiegare i ritardi nell'inoltro alle Regioni delle raccomandazioni di Oms» e anche «per il servizio pubblico 1500 (numero verde, ndr), che ha il compito fondamentale di informazione verso i cittadini, il Ministero ha dimostrato, quantomeno, carenze organizzative e gestionali». Dalla documentazione esaminata è pure emerso che «solo dal 4 marzo 2020» il Ministero ha approntato una prima 'stima dei costi delle apparecchiature di ventilazione assistita per le terapie intensive e gli altri posti letto', quando «solo in Lombardia vi erano già 1.820 casi, 73 deceduti e 209 persone in terapia intensiva».

«Brusaferro non agì», l'Iss sotto accusa

«Nonostante il presidente dell'Iss sia a conoscenza delle conseguenze devastanti del Covid-19 in Cina e nonostante a fine gennaio vi fosse stata la conferma che il virus era ormai giunto in Italia è emerso che non sono state adottate iniziative dirette a preparare il Sistema sanitario nazionale a prepararsi e a rispondere all'emergenza», emerge ancora dagli atti. Inoltre, sul fronte dei tamponi, «dall'analisi delle copie forensi sono emersi elementi che, se confermati da successive indagini, evidenziano la commissione di una truffa ai danni dello Stato».

In un documento allegato agli atti si attesta che per i
«primi 200 test da parte dell'Istituto superiore di sanità emerge che gli oneri per il predetto numero di test (200) è pari a 150.000 euro», così come «si chiedono risorse utili per l'effettuazione di almeno 800 test, pari a 600.000 euro lordi». Ciò significa «che il costo sostenuto e da sostenere per ogni test effettuato presso il laboratorio dell'Iss è pari a 750 euro». Sul punto sono state richieste informazioni all'azienda ospedale - Università di Padova, la quale ha comunicato che nel febbraio-marzo 2020 veniva prevalentemente usato un tipo di test, con un «costo industriale unitario pari, allora, a 2,82 euro». La vicenda, di competenza della procura di Roma, «necessita ovviamente di ulteriori indagini».

«Dalle indagini è emerso che il sistema di risposta emergenziale messo in piedi dalla presidenza del Consiglio dei ministri sembrerebbe aver difettato in chiarezza e linearità riguardo la linea di comando». «Inizialmente, la gestione dell'emergenza era stata affidata, senza definire nel dettaglio i poteri, al commissario Borrelli, il quale doveva avvalersi delle competenze del Cts, il quale, a sua volta, avrebbe dovuto assisterlo e consigliargli quali provvedimenti adottare, benché poi fosse comunque il ministero della Salute ad emanare le circolari necessarie a fornire indicazioni sanitarie alle Regioni».

Il tutto senza dimenticare il Cts «non è stato solo un organismo di consulenza per il commissario, così come previsto, ma ha anche fornito pareri all'organo politico» e che a metà marzo è stato nominato un altro commissario, Domenico Arcuri, per l'attuazione e coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell'emergenza Covid. «La molteplicità delle strutture coinvolte e l'assenza di una chiara linea di comando e coordinamento non ha consentito di agire in maniera immediata ed efficiente ai quesiti per fronteggiare le esigenze emergenziali. Ciò ha determinato un accavallamento di ruoli e la frammentazione di responsabilità che hanno concorso a offuscare qual era in realtà la linea di comando e coordinamento». Lo stesso presidente dell'Iss Silvio Brusaferro riferiva in una chat a Benedetta Allegranzi, funzionaria Oms, che «il sistema italiano di gestione dell'emergenza era 'nel caos'».

A sindaci lombardi negati i dati per non creare panico

«Verso la fine di febbraio i dati del contagio nella bergamasca e in ampi territori della Lombardia erano tali che avrebbero richiesto ulteriori misure contenitive». Eppure, se «nel caso della zona rossa di Codogno, vi è stata unità di intenti tra l'autorità di governo regionale e nazionale», lo stesso non avviene in Val Seriana. Nelle quasi 2.500 pagine non si fanno sconti a nessuno: né al governo centrale né al governatore lombardo Attilio Fontana, da poco riconfermato.

Regione Lombardia, «benché avesse contezza diretta dell'espansione esponenziale del contagio nel suo territorio, nonché del fatto che le catene di trasmissione fossero multiple, non ha mai formalmente richiesto, concordato o sollecitato al governo alcun provvedimento contingibile per i territori di Alzano e Nembro, né lo ha fatto per altre aree regionali». Dalle chat «emerge la contrarietà dell'assessore Gallera nell'istituire la zona rossa, quantomeno in Nembro e Alzano». Inoltre, l'ex assessore «ha dato ordine alle Ats di non comunicare i dati dei positivi ai sindaci», i quali sono autorità sanitaria.

Tale divieto «ha, di fatto, comportato l'impossibilità dei sindaci di valutare la possibilità di adottare, ovvero richiedere, quantomeno nelle more dell'emanazione di appositi Dpcm, particolari provvedimenti contingibili e urgenti nei territori da loro amministrati, tipo le cosiddette zone rosse».

Non solo: «dalle copie forensi risulta che, in più occasioni, si è cercato di contenere la diffusione dei dati sul contagio, sminuendo, nel contempo, la gravità della situazione». In questo senso «deve essere letta anche l'espressione più volta citata nei messaggi 'di non creare panicò tra la popolazione».

Covid: bozza zona rossa mai nelle mie mani

«Il fatto che il 5 marzo 2020 la bozza fosse già sottoscritta dal ministro Speranza mi è stato riferito, successivamente, credo dai miei collaboratori. Il documento firmato non è mai stato nelle mie mani», dichiarava l'ex premier Giuseppe Conte sentito a Roma, il 12 giugno 2020, dai magistrati della procura di Bergamo. Nel verbale, allegato agli atti di chiusura dell'inchiesta in cui Conte risulta indagato per epidemia colposa, si cerca di ricostruire i passaggi e i dati che hanno portato a una scelta che potrebbe aver fatto impennare il numero dei morti in provincia di Bergamo.

«Con Regione Lombardia non ho avuto interlocuzioni dirette in materia di 'zona rossa' per Nembro e Alzano. Le mie interlocuzioni sono state solo con il presidente Fontana ed escludo che mi sia stata chiesta l'istituzione di una zona rossa per Nembro e Alzano. Nelle interlocuzioni con Fontana non ho mai ricevuto indicazioni o richieste riferite ad Alzano Lombardo e Nembro», spiegava ancora Conte ai pm. 

«Ho a disposizione un documento del 28 febbraio 2020 in cui il Presidente Fontana chiede il mantenimento, per la settimana dal 2 all'8 marzo, delle misure di contenimento già adottate per il basso lodigiano. Non ricordo che sia mai stata discussa con il presidente Fontana la creazione di una zona rossa ad Alzano e Nembro, né tantomeno che vi siano state richieste formali o informali in tal senso. Aggiungo che non ho nessun riscontro documentale, all'esito delle verifiche fatte dai miei uffici, contenente richieste in questa direzione» sottolinea ai pm. L'ex premier 'difendè la scelta presa sulla Val Seriana, diversa dalla zona rossa fatta invece a Codogno. «Abbiamo ritenuto, alla luce delle evidenze di fatto e degli aggiornamenti delle valutazioni tecnico-scientifiche, che quella fosse la decisione adeguata da adottare in quel momento storico».

«Militari in Val Seriana? Saputo dalla stampa»

«L'ho saputo dopo, credo dalla stampa. Ho chiesto informazioni, se non erro alla ministra Lamorgese, e mi è stato detto che, in via preventiva, avevano predisposto una ricognizione. Non credo fosse stato disposto dalla ministra Lamorgese e in ogni caso non mi sono informato sui dettagli», aggiungeva ancora Conte, ignaro del dispiegamento di forze a Nembro e Alzano Lombardo, i due comuni in provincia di Bergamo in cui non fu mai fatta la zona rossa. Nei documenti dell'inchiesta emerge l'invio di una mail la sera del 5 marzo con cui dal giorno dopo, 6 marzo 2020, si mettano a disposizione del prefetto di Bergamo 120 militari per l'emergenza sanitaria. Due giorni dopo viene disposta la revoca.

 

Speranza: «Della questione parlai con Conte»

Sullo stesso punto risponde ai pm anche l'ex ministro della Salute Roberto Speranza. «Il 5 marzo 2020 durante il consiglio dei ministri parlai con il ministro Lamorgese di questa ipotesi di allargamento della zona rossa, atteso che in occasione della costituzione della zona di contenimento nel basso lodigiano e a Vò, era stato disposto un consistente dispiego di forze dell'ordine. Ritenni opportuno avvisare il ministro Lamorgese affinché lei potesse valutare nelle ore successive, assieme al presidente del Consiglio, come gestire la vicenda sul piano dell'ordine pubblico».

«Quando ho firmato la proposta di Dpcm, ne avevo già parlato con il presidente Conte. Ricordo anche che della questione Alzano/Nembro, sollevata nel verbale del Cts del 3 marzo 2020, ne avevo già parlato con il presidente Conte nella giornata del 4 marzo 2020. In quei giorni peraltro, il confronto con Conte su tali questioni era chiaramente costante», risponde l'ex ministro Speranza sul perché la bozza di decreto relativa alla Val Seriana porti la sua firma prima ancora che quella dell'ex premier. «La mia premura era quella di assicurare che l'iter del provvedimento non fosse rallentato dalla mia imminente trasferta a Bruxelles. Era infatti previsto che sarei rientrato a Roma non prima del pomeriggio del giorno successivo. L'opportunità di firmare, sin da quel momento, la proposta del Dpcm, proprio per non ritardare l'iter e ancor prima di ricevere i chiarimenti richiesti a Brusaferro, fu condivisa anche dal presidente Conte» sottolinea Speranza che precisa che «non risulta al mio Ufficio alcuna richiesta formale da parte di Regione Lombardia relativa alla zona rossa di Alzano/Nembro».

La zona rossa in Val Seriana non vedrà mai la luce. «Sono rientrato a Roma nel pomeriggio del 6 marzo 2020 e ho preso atto che nel corso della riunione tenuta quella mattina tra Cts e il presidente Conte, presenti il mio capo di gabinetto e mio vice capo di gabinetto, era maturato un cambio di linea e prospettiva. Non si riteneva più possibile contenere la diffusione del virus in aree circoscritte. C'era invece bisogno di misure rigorose che però avrebbero dovuto riguardare un'area molto più vasta». Questa valutazione «emerge chiaramente dal verbale del Cts 7 marzo 2020, nel quale vengono indicate puntualmente tutte le misure da assumersi e le aree territoriali a cui applicarle. Il Dpcm successivamente firmato l'8 marzo terrà conto letteralmente di queste ultime valutazioni del Cts» conclude.

Fontana: «Chiedemmo zona rossa». Ma la Gdf lo smentisce

«Noi credevamo nella realizzazione della zona rossa; che poi sarebbe stata utile non so dire, però a Codogno aveva funzionato. La nostra proposta è stata quella di istituire la zona rossa», sono invece le parole messe a verbale da Attilio Fontana, sentito il 29 maggio del 2020 dai pm di Bergamo. Fontana, ora tra i 19 indagati nell'inchiesta, nella testimonianza aveva detto che c'era «stata una direttiva dell'8 marzo 2020 del Ministro Lamorgese indirizzata ai Prefetti che prevedeva che l'istituzione della zona rossa era competenza esclusiva del Governo».

«Sulla zona rossa di Alzano e Nembro - ha spiegato Fontana - non ho mai parlato con nessun rappresentante di Confindustria e non mi sono state rappresentate loro esigenze (...) Ricordo invece - ha aggiunto - di aver parlato telefonicamente con Bonometti (presidente Confindustria Lombardia, ndr) il giorno 21 o 22 febbraio, prima dell'istituzione della zona rossa di Codogno».

Questa affermazione, scrive la Gdf in una maxi-informativa riepilogativa degli atti, «non corrisponde al vero, in quanto il direttore sanitario di Ats Milano, Walter Bergamaschi» ha dichiarato: «in una occasione, Fontana chiamò il Presidente Mattarella per dirgli che era importante inviare dei messaggi alla nazione per l'adozione di provvedimenti idonei alla gravità della situazione; chiamò anche Bonometti, industriale bresciano (...) al quale disse che si stava valutando la sospensione delle attività produttive e ulteriori misure restrittive». Bonometti, secondo Bergamaschi, «disse con molta chiarezza che era contrario, che il fermo delle attività produttive sarebbe stato un fatto molto grave per le imprese e i cittadini».

Fontana su Alzano e Nembro ha spiegato che «la nostra indicazione al Cts era di ricomprendere nella zona rossa anche il Comune di Albino. La nostra non era una scelta politica - ha detto - ma tecnica, rappresento che io ero dell'idea che bisognava prendere provvedimenti molto severi sulla chiusura dell'intera Regione». È Bonometti, invece, scrive ancora la Gdf, «a smentire il Presidente Fontana», perché ha dichiarato che «Regione Lombardia non era favorevole all'istituzione di singole zone rosse, ma era favorevole a salvaguardare le attività essenziali (...) Regione Lombardia era d'accordo con noi nel non istituire le zone rosse ma nel limitare le chiusure alle sole aziende non essenziali». Mentre l'ex ministro Lamorgese a verbale ha riferito che la sua «direttiva non parla mai di 'zone rossè o di loro istituzione», ma «solo di aspetti relativi all'ordine e alla sicurezza pubblica, ferme restando le competenze specifiche delle regioni».


Ultimo aggiornamento: Lunedì 6 Marzo 2023, 12:39
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