Matteo Messina Denaro, condannato a 9 anni l'autista Giovanni Luppino: «L'ho aiutato per ragioni umanitarie»

A Luppino la Procura aveva inizialmente contestato il reato di favoreggiamento, ma nel corso delle indagini l'accusa era stata modificata in associazione mafiosa

Matteo Messina Denaro, condannato a 9 anni l'autista Giovanni Luppino: «L'ho aiutato per ragioni umanitarie»

di Redazione web

Arriva una svolta. Il gup di Palermo ha condannato, per favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravati, a nove anni  Giovanni Luppino, l'imprenditore di Campobello di Mazara, Trapani, che ha fatto da autista al boss Matteo Messina Denaro. Luppino, secondo l'accusa, ha inoltre chiesto soldi per conto del capomafia e, insieme ai suoi figli, arrestati lo scorso febbraio, ha curato spostamenti, traslochi e diversi aspetti organizzativi della latitanza del padrino di Castelvetrano.

La condanna a Giovanni Luppino

A Luppino la Procura aveva inizialmente contestato il reato di favoreggiamento, ma nel corso delle indagini l'accusa era stata modificata in associazione mafiosa. L'imputato venne arrestato insieme a Matteo Messina Denaro il 16 gennaio del 2023 fuori dalla clinica La Maddalena, il centro sanitario in cui il boss da mesi si sottoponeva alla chemioterapia e dove era stato operato.

L'imprenditore ha raccontato, a sua difesa, che a fargli conoscere Messina Denaro spacciandolo per un suo cugino, nel 2020, era stato un compaesano, Andrea Bonafede (il geometra che prestò l'identità al capomafia ndr), che gli avrebbe chiesto di accompagnarlo a Palermo per delle cure.

Il rapporto tra Luppino e Messina Denaro

Il capomafia gli sarebbe stato presentato col nome di Francesco Salsi e solo dopo tempo Luppino ne avrebbe conosciuto la vera identità. Da allora "per ragioni umanitarie", sapendo che il boss era gravemente malato, l'imputato avrebbe continuato ad accompagnare Messina Denaro alle terapie. Ma gli inquirenti, oltre a scoprire che Luppino aveva dato Messina Denaro ben cinquanta passaggi in auto per Palermo e che aveva stretti rapporti con l'amante di Messina Denaro, Laura Bonafede, hanno accertato che l'imprenditore aveva chiesto il pizzo per conto del boss.

Tutte condotte incompatibili con la versione data dall'imputato che – hanno poi svelato i magistrati – aveva coinvolto anche i suoi figli nell'assistenza al latitante. Erano loro, infatti, a custodire la macchina del boss, a organizzare i suoi traslochi da un covo all'altro e a dare aiuto e sostegno a al padrino nei difficili spostamenti che dovette gestire in occasione dell'ultimo intervento chirurgico.


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 13 Marzo 2024, 16:59
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