Sarah Nile licenziata pochi giorni dopo il parto: «Mi hanno trattata come Barbara D'Urso». Lo sfogo della ex gieffina

L'ex Gf ha lavorato fino a due giorni dal parto

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di Redazione web

Sarah Nile è stata una delle protagoniste del Grande Fratello 10 e il pubblico televisivo non ha mai smesso di seguirla. La donna è solita condividere sui suoi canali social la sua vita quotidiana, dalla sua storia d'amore con Pierluigi Montuono, alla nascita delle loro due figlie, Noah la primogenita ed Evah, la secondogenita avuta con la procreazione medicalmente assistita o fecondazione artificiale. L'ex gieffina ha condiviso con i suoi folllower una bruttissima esperienza fatta nella cinica lussuosa dove lavorava. La ragazza, laureata in massaggio fisioterapico, è stata licenziata in tronco al rientro dalle ferie, dopo il parto della piccola Evah.

Andiamo a leggere il suo sfogo.

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Lo sfogo di Sarah Nile

Sarah Nile si è lasciata andare ad un lungo sfogo sul suo profilo social dopo essere stata licenziata in tronco.

«È giusto essere obbligate a scegliere tra l’essere madre o la carriera?!? Credevo che una cosa del genere potesse accadere solo in un Paese dove la donna ha zero diritti, in un ambiente di lavoro dove non esiste tutela, dove il compromesso è la regola. Ho letto storie di giovani donne dove al colloquio aveva rilevanza sapere se volessero figli, un matrimonio o se già c’era tutto questo, quasi come fosse una nota stonata su di un curriculum impeccabile. Leggevo e credevo che tutto ciò non potesse riguardarmi: troppo lontano dalla realtà, inconcepibile, surreale appunto. Ed è così che negli anni ho avuto la fortuna di lavorare in un contesto a me affine, di lavorare bene e con tanta passione. Di sperimentare la massima di “fai ciò che ami e non lavorerai mai un giorno” perché si, sono passati 7 anni e ho amato tutto ciò che ho fatto ogni singolo minuto fino al 07/09/2023, giorno in cui una lettera di licenziamento, in tronco e senza preavviso, ha fatto scoppiare la bolla mentale che mi ero costruita. In tronco e con un generico “problemi economici” o almeno così dovrebbe sembrare perché ci sono cose che non tornano. Non mi torna perché prima di me è stata licenziata un’altra collega che aveva appena partorito. Non mi torna perché a pochi giorni dalla raccomandata del 7 settembre anche un’altra collega è stata licenziata al terzo mese di gravidanza. E non mi torna soprattutto perché ho ricevuto la comunicazione di licenziamento a soli cinque mesi dalla nascita della mia splendida Evah, a pochi giorni dal rientro dalle ferie, e beffa del destino, mentre ero in ospedale aspettando che il mio Noah si risvegliasse da una delicata operazione. Il lavoro che amo l’ho anteposto a tante cose, in primis a me stessa, alla gioia di vivermi un momento spensierato, a quel nono mese di gravidanza lavorato per interno e fino a due giorni dal parto, ad una gravidanza lottata e sofferta, allo sconforto sempre nascosto col sorriso perché c’erano i pazienti. Nonostante la testa pesante, il cuore a volte troppo carico di emozioni per tutto il mio percorso con la PMA, (procreazione medicalmente assistitasempre sospesa tra riuscire a coronare il sogno di un figlio e il fallimento, accanto al lavoro c’erano notti insonne, medicine, ormoni, visite, test di gravidanza, pick-up, impianti, terapie e stimolazioni senza perdermi nello sconforto, e tutto questo per dare il meglio di me. Per continuare a sperare in un futuro radioso fatto di soddisfazioni lavorative, professionali e soprattutto personali. I pazienti non erano numeri, per me erano un po' la mia seconda famiglia che seguivo con dedizione, professionalità e soprattutto umanità. Eppure, non è stato abbastanza. La mia dedizione si è scontrata con regole arcaiche dove la donna, madre e lavoratrice è un ossimoro, qualcosa che non può coesistere. E così come ho mascherato lo sconforto della lunga lotta con la PMA, ho dovuto nascondere il buon esito della gravidanza, notizia che non ho sentito di poterla annunciare come e quando avrei voluto. Non sono qui a puntare il dito contro nessuno e cercare ragioni dove in questo momento non esistono, per quello ci sono luoghi preposti, aule di giustizia che sapranno scavare a fondo. Tutto questo lo devo per coscienza morale, per quella mia seconda famiglia a cui ho dato tutto. I pazienti che ho seguito, che ho supportato nei momenti critici, che ho accompagnato in un viaggio fatto di desideri, speranze e timori.

Tutte le persone che ho tenuto per mano, anche a distanza, ma per le quali c’ero e ci sarò. Avrei voluto scrivervi uno ad uno, ma successivamente alla lettera di licenziamento mi è stata sottratta la Sim aziendale, intimandomi di interrompere ogni tipo di contatto. Schemi aziendali che non tengono conto dell’utenza e del pubblico a cui ci si rivolge, nonostante le soddisfazioni e il ritorno che si riceve sia immenso» ha raccontato Sarah.

Sarah Nile trattata come Barbara D'Urso

«Queste dinamiche che mi fanno capire come devono essersi sentite personalità come Barbara D'Urso (paragonandolo al mio piccolo ovviamente) dove nonostante la propria professionalità, passione ed esperienza non hanno avuto la meglio. Che possa piacere o meno la Sig. D’Urso per anni è stata dedita a Mediaset. Alla famiglia che ha curato nell’appuntamento fisso meridiano, implacabile stacanovista e camaleontica sempre capace di intrattenere il suo pubblico, pronta in ogni circostanza per i suoi fedelissimi ai quali anche lei non ha potuto rivolgere un pensiero o un ultimo saluto. Così come per il mio pubblico, i miei amati pazienti con i quali avevamo appuntamento fisso nei pomeriggi settimanali, e per i quali ho sentito di dedicarmici anche nelle feste, nei sabati, nelle domeniche, ovunque in qualsiasi momento ci fosse il bisogno, non ho avuto modo né tempo di potervi salutare. So solo che di certo non potevo chiudere “in tronco” perché una spiegazione era dovuta così come una breve riflessione: può una donna essere licenziata perché diventata madre?»


Ultimo aggiornamento: Giovedì 21 Settembre 2023, 18:34
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