Ginecologa non applica il cesareo e decapita neonato durante il parto, ma ora può tornare a lavorare. Ecco perché

Ginecologa non applica il cesareo e decapita neonato durante il parto, ma ora può tornare a lavorare. Ecco perché

di Simone Pierini
La dottoressa ha ammesso ogni colpa dicendosi mortificata per quanto accaduto: le sue intenzioni erano quelle di far nascere il bimbo nel più breve tempo possibile cercando di evitare alla mamma uno stress come quello di un parto cesareo. Vaishnavy Vilvanathan Laxman è colei che ha preferito un parto naturale a un cesareo, provocando la decapitazione e la morte del neonato. Oggi è arrivata la notizia: può tornare a lavoro, la sua idoneità alla pratica non è compromessa. 

Ginecologa tira il bimbo durante il parto e lo decapita​



La storia. Una donna incinta di 25 settimane ha partorito al Ninewells Hospital di Dundee nel marzo 2014. Sebbene fosse necessario un parto cesareo la dottoressa ha preferito procedere per un parto naturale: ha così convinto la madre a spingere mentre lei tirava per le gambe il bambino. Un'azione avventata, sconsigliata da qualunque specialista, perché la manovra potrebbe portare alla rottura degli arti e della testa del bimbo, e così è successo. La dottoressa si è ritrovata con il corpicino in mano, mentre la testa era rimasta nella pancia della mamma. 

La reazione. La donna, 30 anni, in un primo luogo aveva perdonato la dottoressa. Poi ha scoperto cosa sia realmente successo in sala parto ed è esplosa in tutta la sua rabbia. «Non ero stata informata che la procedura era stata cambiata - ha detto - Non dovrebbero mai usare un parto vaginale in quella situazione. I neonati sono delicati, ma questo bambino era ancora più fragile, e ad essere tirato così poteva fargli solo dei danni».

Ritorno a lavoro. Martedì il tribunale ha assolto la dottoressa Laxman e ha dichiarato che la sua idoneità alla pratica non è compromessa. Ha stabilito che la decisione di procedere con un parto naturale fosse «negligente e scendeva al di sotto degli standard normalmente previsti», ma non costituiva una grave mancanza. Il tribunale non ha ritenuto che il suo "errore" fosse persistente o ripetuto, ma piuttosto un episodio singolo fatto in circostanze molto difficili e che abbia agito nell'interesse di entrambi i pazienti.



 
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 6 Giugno 2018, 10:58
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