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Il lockdown, oltre a deprimere gli acquisti, ha infatti anche messo in luce i punti deboli delle abitazioni, spingendo i consumatori a riversarsi nei negozi subito dopo la riapertura. «Ora che ne sappiamo di più rispetto a febbraio o marzo, abbiamo deciso che la cosa giusta fosse dire “grazie ragazzi, ci avete aiutato in questo periodo difficile e ora vi rendiamo la cortesia”», ha dichiarato Oncu al Financial Times. Concetto ribadito su LinkedIn da Olivia Ross-Wilson, direttore della comunicazione di Ingka Group, che ha scritto: «Nei mesi scorsi abbiamo dovuto affrontare varie sfide, cercando di trovare il giusto compromesso tra ciò che è meglio per le persone e la società e ciò che è meglio per il business. Per questo ora siamo molto orgogliosi di aver avviato il processo per restituire ai governi il supporto salariale che abbiamo ricevuto durante i momenti peggiori della pandemia. E anche se non ci sono procedure codificate per farlo, troveremo il modo come sempre».
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A quanto risulta, Ikea è nella fase iniziale delle trattative con le autorità nazionali: date le differenze tra i singoli Paesi sulle misure adottate come ammortizzatori sociali durante la crisi – sostegno al salario, riduzioni di orario – non sono state precisate le modalità, né i costi della procedura di restituzione, né si sa quanti lavoratori sono stati coinvolti nei nove Paesi. All’inizio dell’emergenza sanitaria, ha aggiunto Oncu, la priorità di Ikea è stata proteggere la salute dei dipendenti chiudendo la maggior parte dei suoi 374 negozi nel mondo. «Ma quando la nebbia ha iniziato a diradarsi abbiamo visto che la crisi non è stata così grave come temevamo e che non sarebbe durata tanto a lungo quanto avevamo preventivato».
Per questo la decisione di restituire i fondi, che secondo il manager «era la cosa giusta da fare. È importante per noi mantenere buone relazioni con le società e le comunità alle quali siamo vicini».
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La decisione di Ikea apre però il dibattito sul comportamento più opportuno da adottare per le imprese, nel momento in cui i loro business iniziano a mostrare segni di ripresa dopo i lockdown. In altri Paesi alcune società hanno preso decisioni simili: in Gran Bretagna Games Workshop e il magazine Spectator hanno fatto sapere di voler restituire i finanziamenti ricevuti nell’ambito del coronavirus Job Retention Scheme; ma tra le multinazionali non ci sono stati finora molti casi analoghi a quello del colosso svedese dell’arredamento. Che comunque resta sotto la lente delle autorità europee per ragioni fiscali: la gran parte delle società del gruppo fondato in Svezia hanno infatti sede nei Paesi Bassi e la Commissione europea ha recentemente esteso il raggio d’azione dell’inchiesta aperta nel 2017 sul trattamento fiscale disposto dall’erario olandese nei confronti di Ikea.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 17 Giugno 2020, 15:46
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