Tatuaggi come “cura” sulle cicatrici del corpo e dell'anima: a Palermo una convention

Tatuaggi come “cura” sulle cicatrici del corpo e dell'anima: a Palermo una convention

di Totò Rizzo

«Ritrovarsi», afferma lo psicologo. «Riaccettarsi», dice il tatuatore. Ognuno faccia la sua differenza, tiri fuori il proprio distinguo. Fatto sta che sempre più persone, dopo eventi traumatici che le hanno fiaccate nel fisico e nella psiche, ricorrono al tatuaggio come strumento per venir fuori da un colpo basso del destino, non tanto per cancellare – ché quello è quasi impossibile – ma quanto meno per “raccontare” in maniera diversa una cicatrice del corpo e dell’anima. E di questo si parlerà – ma ci saranno, oltre alle testimonianze, consulti su eventuali interventi – alla Palermo Tatoo Convention, ottava edizione, la più importante vetrina sul tema nel Sud Italia, dal 3 al 5 giugno ai Cantieri Culturali alla Zisa del capoluogo siciliano.

Un centinaio di artisti del tatuaggio e un ugual numero di modelli (più eventi collaterali sempre sul tema) ma quest’anno soprattutto una domanda: può un tatuaggio essere terapeutico per riacquistare benessere psichico, per riaffermare la propria identità, per riappacificarsi con l’immagine di sé dopo che un incidente o un intervento chirurgico ti hanno cambiato nel fisico e nella mente? Il confronto sarà interessante, così come le narrazioni in prima persona. La nuova “storia” da raccontare sul proprio corpo per arrivare allo sta bene deve ovviamente superare una serie di passaggi. A partire dal parere medico (e qui i dermatologi sono essenziali) fino allo stadio creativo, quello del tatuatore che in questo caso (ma non solo in questo, dicono i maestri di quest’antica tecnica) deve essere un po’ artista e un po’ confidente. Un passaggio intermedio (non obbligato ma utile) può essere quello dello psicologo.

Dice Giorgio Dioguardi, psicologo per l’appunto: «Più che un problema di memoria traumatica, che è comunque difficile da rimuovere anche sottotraccia perché comunque te la porti sempre dentro, è l’esigenza di ritrovare la propria identità che spinge alla scelta di un tatuaggio, quella stessa identità che la cicatrice vistosa lasciata da un intervento chirurgico, per esempio, può avere violato creando una distonia tra mente e corpo. Insomma, un bisogno reale di riconoscersi, Ribadisco: non è un colpo di spugna sul passato ma può essere visto come una rivincita, una rivalsa su un particolare momento avverso del passato».

Sono ovviamente cento le spinte, e soggettive, ma transitano tutte attraverso l’oggetto della nostra riconoscibilità, il nostro corpo. «Il senso identitario passa prima di tutto da lì, dal corpo che è la prima manifestazione di noi stessi, il biglietto da visita con il quale ci presentiamo subito agli altri – continua Dioguardi –. Ecco perché, al di là di ogni valore estetico, la scelta del tatuaggio è sempre fortemente simbolica».

E dunque, lo psicologo attribuirebbe al tatuaggio anche un valore “terapeutico”? «Sì, per chi si trova in un momento di stallo della propria vita può senza dubbio essere una scelta positiva, intelligente, un modo per rimettersi in cammino».

Rivendica il diritto a una «riabilitazione estetica oltre che fisica» Fabio La China, tatuatore. «Il tatuaggio medicale è affine a quello artistico, la differenza la fa il campo di applicazione». Ovviamente la sovrapposizione del disegno alla cicatrice va fatta tenendo conto della patologia e dell’intervento che sono stati affrontati e dell’offesa stessa che il corpo ha subìto e soprattutto, La China lo ripete quasi fosse un mantra, «se il derma lo permette». L’intervento del tatuatore deve tenere conto del percorso ospedaliero e di quello post-ospedaliero, deve essere ad essi complementare. E spiega: «Per fare un esempio: se le cure dovessero ancora comportare diverse risonanze magnetiche, meglio non intervenire con tatuaggi colorati».

Anche il tatuatore ribadisce il concetto fondamentale dell’identità del proprio corpo. «La memoria visiva del nostro corpo è la prima che abbiamo, insieme alla sensazione tattile, se la vedi stravolta è come se non ti riconoscessi più». Certo, ci sono cicatrici e cicatrici. Alcune particolarmente vistose come quelle dell’addominoplastica che vanno da anca ad anca e altre meno traumatiche a vedersi. O quelle che possono dare il senso di una rinascita, di una rigenerazione. «Penso a quelle della ricostruzione dell’areola dopo un intervento di tumore al seno – dice La China – ma decorare il seno risanato ha per la donna un forte valore simbolico e sono su quella la maggior parte degli interventi. I maschi invece vogliono abbellire con un tatuaggio un’offesa arrecata al proprio corpo da un incidente in moto o in auto o sul lavoro. Comunque, il ricorso al tatuaggio medicale vede, come nei casi comuni, le donne al 75% e gli uomini al 25%».

Il cliente che vuole un tatuaggio che copra una cicatrice o una ferita risanate va seguito per un mese e mezzo/due. Bisogna considerare che, per la medicina, è sempre un paziente. E dunque, questo campo del tatuaggio deve andare di pari passo con i suggerimenti dei sanitari. E se il cliente volesse “spingersi oltre”? «Sta a noi distoglierlo da certe idee, così come in realtà dovrebbe farsi con tutti i clienti. Ci sono richieste che, per etica professionale, devi comunque scoraggiare, o pratiche che puoi non eseguire nel tuo studio (la pigmentazione della cornea ad esempio). Con una giusta dose di razionale convincimento, bisogna fare capire al cliente che lui non ha sempre ragione».


Ultimo aggiornamento: Venerdì 27 Maggio 2022, 19:43
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