Tour, Magrini: «Vingegaard più forte a cronometro ma occhio a Pogacar: ha dato più spettacolo»

Parla la voce tecnica di Eurosport

Tour, Magrini: «Vingegaard più forte a cronometro ma occhio a Pogacar: ha dato più spettacolo»

di Massimo Sarti

I suoi commenti di ciclismo per Eurosport sono diventati un vero e proprio culto. Un culto di squadra per il Tour de France 2023, che il 68enne ex professionista Riccardo Magrini sta declamando dalla prima all'ultima pedalata insieme al giornalista Luca Gregorio e ai contributi “bonus” di altri due ex del gruppo come Wladimir Belli e Moreno Moser. Neologismi, aneddoti, dibattiti, risate e discussioni, ma quando c'è da commentare la corsa sul serio, la cronaca la fa da padrona. Come il “Magro” fa con Leggo. Oggi la Grande Boucle riparte per la terza, ultima e decisiva settimana dopo il secondo giorno di riposo con il danese della Jumbo Visma Jonas Vingegaard in maglia gialla. Sono appena 10” i secondi di vantaggio sullo sloveno della UAE Team Emirates Tadej Pogacar. È il duello tra i due “marziani” del Tour, che riprende contro il tempo.

Magrini, è in avvicinamento l'unica cronometro di questo Tour: 22,4 km da Passy a Combloux con arrivo in salita. Come andrà a finire tra Vingegaard e Pogacar?

«Probabilmente non ci saranno grandi distacchi tra i due, anche se il percorso sarà abbastanza impegnativo. Vingegaard va un po' più forte a cronometro, ma Pogacar ha già vinto un Tour su Primoz Roglic al termine di una crono più dura di questa (nel 2020 in cima alla Planche des Belles Filles, ndr). È difficile dire come andrà a finire, perché i due davvero si equivalgono, con caratteristiche diverse. Come non saprei dire chi vincerà il Tour. Domani (oggi, ndr) ne sapremo di più. Vingegaard a cronometro è favorito, ma sulla carta. Sulla carta doveva esserlo anche in salita, ma sinora ha staccato Pogacar una volta sola, nella frazione vinta da Jai Hindley (a Laruns, ndr)».

Ma c'è la possibilità che si finisca come nel 1989, quando Greg LeMond fu maglia gialla a Parigi con soli 8” su Laurent Fignon, il distacco più risicato tra primo e secondo nella storia della Grande Boucle?

«Difficile, quella cronometro LeMond-Fignon fu all'ultima tappa. Qui abbiamo ancora una prova contro il tempo, la frazione di mercoledì (domani, ndr) a Courchevel che forse è la più dura di tutte e le montagne di sabato sui Vosgi. Potrei vedere meglio Pogacar, se la sua squadra riuscirà a tenere controllata la corsa e lui sfruttare gli abbuoni per vincere il Tour. Ora è dietro, ma di poco».

Insomma, un equilibrio al momento inestricabile...

«Un equilibrio anche tra le squadre. La Jumbo Visma ha Sepp Kuss che è fortissimo in salita. Poi c'è Wout Van Aert, che però non si sa come corre. La UAE Team Emirates ha aggiunto Adam Yates, che a sua volta punta al podio. Anche a livello di squadre conterà chi sarà rimasto più fresco nella terza settimana».

Che voti meritano sinora Vingegaard e Pogacar?

«A Vingegaard darei un 8 perché ha la maglia gialla. A Pogacar un 8,5 perché ha vinto una tappa e ha dato più spettacolo».

Il nostro Giulio Ciccone ha ottenuto un secondo posto a Laruns ed è in maglia a pois di miglior scalatore. Riuscirà a portarla sino a Parigi?

«Giulio sabato e domenica è andato alla grande, ma non è certo fatta e gli avversari sono tosti.

Ci sarà un Gran Premio della Montagna anche nella cronometro. Sarà una lotta difficile, ma Ciccone è stato bravo ad indossare la maglia a pois che era uno dei suoi obiettivi. Se vorrà tenerla sino a Parigi dovrà però, credo, rinunciare all'altro obiettivo, quello di vincere una tappa».

Che riflessioni suscita questo Tour con soli sette italiani alla partenza?

«Torno indietro sino al 1983, quando vinsi al Tour dopo 77 giornate di digiuno per il ciclismo azzurro. In quell'edizione ci furono solo sei italiani al via. Gli italiani andavano forte, ma non facevano il Tour. Oggi si è battuto il mio “record”, con 79 tappe di astinenza. Ma nelle grandi corse a tappe il ciclismo italiano è in crisi da tempo. Conta la mancanza di una squadra italiana World Tour (il massimo livello delle compagini professionistiche nel ciclismo, ndr), ma i nostri ci sono nelle squadre straniere, un po' sparpagliati, ma ci sono. Se andassero più forte sarebbero portati al Tour. Ritiratosi Vincenzo Nibali, non vedo al momento corridori che possano fare classifica generale in un Grande Giro. Tornando indietro un po' nel tempo mi vengono in mente, oltre a Nibali, solo Fabio Aru e Michele Scarponi».

A proposito, il successo al Tour de France sul traguardo di Oléron ha appena compiuto 40 anni...

«È un ricordo molto bello, che resterà indelebile perché da professionista vinsi solo tre corse: però una al Tour e una poco prima al Giro d'Italia (a Montefiascone, ndr). E non sono in tanti che ci sono riusciti nello stesso anno. Fa piacere che la gente lo ricordi, anche chi non ha vissuto quel ciclismo, che si stupisca. È quello che mi soddisfa di più».

C'è un segreto nell'alchimia nei commenti del Tour de France e in generale del ciclismo su Eurosport?

«È tutto naturale. C'è tanta amicizia alle spalle, è tutto improvvisato. Non è alchimia, è condivisione, anche se non sempre la pensiamo alla stessa maniera. Ormai lavoro dai sei anni con Luca Gregorio e c'è affiatamento. Poi gli inserimenti di Wladimir Belli e Moreno Moser, diversissimi tra loro, ma compatibilissimi con noi, hanno contribuito a fare la differenza».

Possiamo definirle le telecronache della tecnica e della serietà, ma anche dell'allegria e dell'amicizia?

«È questo il trucco. Non abbiamo cliché, andiamo a braccio, seguendo la corsa e usufruendo dell'interazione con il pubblico. C'è molta complicità tra di noi».


Ultimo aggiornamento: Martedì 18 Luglio 2023, 06:00
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