Gino Paoli, 83 anni e non sentirli: "Volevo fare l'oste, non il cantante. Ma poi..."

Gino Paoli, 83 anni e non sentirli: "Volevo fare l'oste, non il cantante. Ma poi..."
La carriera musicale non lo entusiasmava, eppure alla fine Gino Paoli è diventato uno dei 'mostri sacri' della canzone italiana, riscuotendo enorme successo anche all'estero. Il cantautore, 83 anni, ieri sera era sul palco dell'Ariston per una performance insieme al jazzista Danilo Rea e ha rilasciato un'intervista a 'Tv Sorrisi e Canzoni' in cui racconta tutta la propria ascesa.



«Nel '68 c'era la necessità di scrivere canzoni politiche, ma a me non andava: avevo iniziato a fare l'oste dopo aver aperto un ristorante, con sala da ballo, sulla spiaggia di Levanto» - racconta Gino Paoli - «Poi, però, Gian Franco Reverberi, diventato vicedirettore artistico di Ricordi, aveva iniziato a provare nostalgia e decise di chiamare a Milano tutti gli amici di Genova: io lavoravo come bozzettista grafico, Bruno Lauzi e Luigi Tenco erano iscritti all'università. Non avevamo intenzione di fare carriera artistica, ma le cose sono andate diversamente».

La carriera musicale di Gino Paoli, almeno in un primo momento, non aveva trovato l'approvazione dei genitori: «Mio padre mi diceva sempre: 'Quando la smetterai con queste cose e inizierai a fare qualcosa di serio?'. Lui voleva che diventassi ingegnere navale come lui e non venne mai a sentirmi, ma mia madre mi confessò che ciò che non sopportava era sentire critiche su di me. Non mi ha mai mostrato un grande orgoglio, ma poi faceva sentire sempre le mie canzoni ai suoi colleghi in ufficio».

La collaborazione con Danilo Rea è la terza di tutta la carriera: «Ormai siamo in simbiosi, dovremmo fare coming out. Dopo la canzone napoletana, ci siamo concentrati su grandi artisti francesi come Charles Trenet, Jacques Brel, Gilbert Bécaud, Serge Gainsbourg, Léo Ferré. La loro musica è profonda e sa essere d'ispirazione, risale a un periodo in cui in Italia andava 'Papaveri e papere'». Il merito è quindi della 'scuola genovese', ma Gino Paoli rifiuta quest'etichetta: «Eravamo semplicemente amici che credevano nella musica come veicolo di messaggi di inquietudine, disagio e cattiveria. Siamo stati i primi, ma è stato un caso: qualcuno avrebbe trasformato, prima o poi, la musica italiana».

Il successo, per Gino Paoli, arrivò solo dopo cocenti delusioni: «'La gatta' vendette 80 copie, il successo arrivò solo dopo grazie al juke-box. 'Sassi' fu criticata perché troppo esistenzialista per la musica leggera di allora. Mogol, che lavorava per Ricordi, mi criticò quando gli presentai 'Senza fine' e mi disse: 'Ma come, va il rock and roll e tu porti un valzer?'. Non volevo scrivere canzoni politiche, le mie canzoni già lo erano in un certo senso. 'Il cielo in una stanza' fu rifiutato dall'editore Alfredo Rossi e anche da Miranda Martino. Se ne pentirono dopo che Mina la trasformò in un grande successo. Per avere successo il talento conta, ma non quanto la fortuna, quella serve sempre».

L'istinto musicale non è mai mancato al cantautore ligure, che in passato deteneva i diritti italiani di grandi artisti come i Bee Gees, David Bowie e l'etichetta dei Beatles: «Avevo un socio olandese, ogni mese andavamo a Londra e scovavamo gli artisti di maggior potenzialità. Le etichette discografiche italiane arrivavano sempre dopo, noi avevamo il gusto che a loro mancava. David Bowie mi inviò anche una foto, per ringraziarmi, in cui era vestito da donna».

Oggi, a 83 anni, Gino Paoli mostra ancora una forma invidiabile: «Sono stato fortunato nella vita. Ho avuto genitori decenti, un nonno straordinario che consideravo il mio supereroe, tante bellissime donne che mi hanno scelto, perché sono le donne a scegliere, non l'uomo. Fino a qualche anno fa bevevo una bottiglia di whiskey a sera ma ho ridotto anche il fumo. Eppure i miei amici che non fumavano sono già morti». Oggi non rinuncia alla musica, ma neanche alla vita da contadino: ha un uliveto, con tanto di residenza estiva, in Toscana. E lo cura con attenzione e uno sguardo al futuro: «Non sappiamo cosa ci possa riservare il domani, io mi sento precario da sempre ma vivo come se fossi un ragazzino. Faccio progetti a lungo termine e pianto alberi che cresceranno tra dieci anni. Mio cognato, che è medico, dice che quando morirò dovranno sezionarmi per scoprire il segreto della mia longevità».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 9 Febbraio 2018, 10:54
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