L'esperimento di Barcellona apre finalmente nuove speranze per un settore fermo da più di un anno. Abbiamo capito che si può fare un concerto: basta adottare le necessarie misure di sicurezza, dai tamponi alle mascherine. Del resto già l'esperienza della scorsa estate ce lo aveva dimostrato, con spettacoli in piccole strutture, distanziamento, audience ridotta. Trecentomila persone avevano potuto riassaporare la gioia di assistere a uno spettacolo. Sembrava che finalmente si potesse ripartire e non erano certi esplosi i contagi per via di quegli spettacoli. E invece è arrivata la doccia fredda delle nuove chiusure. Una decisione drastica, frettolosa, che non ho capito. Anche gli annunci delle successive riaperture sono caduti nel vuoto.
Si ha come l'impressione di essere invisibili, di non contare nulla. Si pensa al nostro settore come a una categoria privilegiata, fatta di star milionarie. Ma non è così. Magari Vasco Rossi non farà la fame, ma tutti i suoi lavoratori, musicisti, addetti ai tour ora vedono solo il buio, non hanno un futuro. E nell'intero settore sono decine di migliaia di persone, completamente abbandonate. Il mio fonico fa questo lavoro da 40 anni, ora mi chiede: «Debbo inventarmi un altro lavoro?». Anche i sussidi, spesso, non sono sufficienti. Ci sono lavoratori che non hanno ancora percepito nemmeno i 600 euro. E la Siae? L'omologa francese ha messo in automatico 1.500 euro sui conti di tutti, a noi hanno inviato un cestino! Come se ci dovessero fare l'elemosina, ricompensare con un pezzo di pane e due fette di salame il lavoro che svolgiamo.
Ma ora bisogna seriamente pensare a ripartire.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 31 Marzo 2021, 10:38
© RIPRODUZIONE RISERVATA