Roma, la notte folle della baby gang: prima l'alcol, poi la violenza
di Marco Carta
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LA VICENDA
Dalla movida selvaggia alle violenze. Il gruppetto, intorno alle cinque del mattino, voleva tornare a casa dopo una notte alcolica trascorsa dalle parti di piazza Bologna. Erano stati a una festa privata, poi avevano continuato a bere dentro un pub. Quando si recano alla fermata del bus sono ancora alticci. E senza freni inibitori.
Il primo ad essere preso di mira dalla gang è proprio l’autista del 310, dove i 5 sono saliti. Nessuno di loro indossa la mascherina, per questo il conducente Atac li mette in riga: «Mi dispiace, senza la mascherina non potete stare a bordo». Al divieto, il gruppo perde la testa. I cinque, infatti, si scagliano contro l’uomo, lo colpiscono con calci e pugni, poi scendono dall’autobus e fuggono a piedi lungo viale Jonio. Di strada da fare ce n’è ancora, ma uno di loro ha un’idea: prendere un’auto. La scena sembra quella di un film.
I cinque occupano la strada e fermano un automobilista. L’uomo esce dal veicolo, chiedendo cosa stia accadendo. E la situazione degenera presto. L’automobilista viene colpito al volto e cade a terra con il naso rotto, riportando venti giorni di prognosi.
Il gruppetto, intanto, si disperde per le vie di Talenti. Le volanti della polizia, intervenute sul posto, riescono a individuare solo due dei componenti della banda. Uno studente di 18 anni, incensurato. E il suo amico di 19 anni, con un precedente per rissa da minorenne e un lavoro recente come panettiere. Entrambi vengono fermati e accusati per il reato di lesioni, tentata rapina aggravata e resistenza a pubblico ufficiale. E denunciati per il pestaggio dell’autista del bus.
LE ACCUSE
Secondo la ricostruzione della procura, i cinque avrebbero fermato il veicolo con l’obiettivo di rubarlo per poter tornare a casa. Interrogati ieri mattina, nel corso della convalida d’arresto a piazzale Clodio, i due giovani, difesi dagli avvocati Alessandro Zottola e Gaetano Iovino, hanno provato a dare un’altra versione dei fatti.
Dapprima hanno negato di conoscere gli altri tre compagni di violenze: «non sappiamo chi siano, li abbiamo visti sull’autobus. Noi non abbiamo avuto alcun ruolo. Non abbiamo picchiato nessuno». Poi hanno provato a difendersi anche dall’accusa di tentata rapina aggravata: «Eravamo a cento metri da casa e non abbiamo la patente. Non aveva senso rubare la macchina».
Per entrambi, su richiesta del pubblico ministero Alberto Pioletti, sono stati disposti i domiciliari con il braccialetto elettronico in attesa del processo, previsto il prossimo 22 settembre. Mentre sono in corso le ricerche per risalire agli altri tre componenti del branco.
Ultimo aggiornamento: Venerdì 21 Agosto 2020, 00:16
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