La chiave è la flessibilità nell’impiego dei fondi del Pnrr, da riorientare anche a sostegno delle imprese. Una formulazione messa nero su bianco nelle conclusioni del Consiglio europeo di febbraio, come contropartita per bilanciare la netta apertura Ue sul fronte degli aiuti di Stato che favorisce le economie Ue più forti (a cominciare dalla Germania), e ampia abbastanza da tenere dentro sia i ritocchi ai Pnrr, sia i nuovi capitoli di RePowerEU a valere sui prestiti finora non richiesti (che l’Italia ha già fatto sapere a Bruxelles di voler utilizzare). È da questo binario che passa il treno che trasformerebbe le risorse “scoperte” del Recovery Plan, legate a progetti di complessa realizzazione, in incentivi per le imprese, come evocato ieri dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi in un’intervista con Il Messaggero.
Carlo Bonomi: «Pnrr, i fondi “residui” vadano alle imprese. E il Mes è da cambiare»
«La nostra proposta è destinare buona parte delle risorse che rimarrebbero “scoperte” verso incentivi all’investimento per le imprese, che sono di rapida attuazione di più sicuro impatto sul Pil, senza modificare le regioni di destinazione delle risorse», ha spiegato Bonomi al nostro giornale. La partita si gioca tutta in Italia, e il clima, nei contatti con il governo, è favorevole. E pure a Bruxelles, che ovviamente monitora da vicino sviluppi e scossoni con vista sul Pnrr, non ci sarebbe nulla in contrario all’ipotesi di partenariati pubblico-privato, come hanno chiarito sei commissari europei, coinvolti a vario titolo nella realizzazione del Recovery, e con cui il numero uno degli industriali italiani ha avuto modo di confrontarsi nelle stanze di palazzo Berlaymont, nel cuore del quartiere europeo. Purché, naturalmente - è la cautela scandita ai piani alti della Commissione - l’impianto del Pnrr non venga stravolto e si mantenga la barra dritta sulle tempistiche, gli obiettivi e i principi stessi alla base del Piano compresi i meccanismi delle gare. Ribaditi i vincoli, ben vengano, però, tutte le iniziative nazionali - compreso un maggiore coinvolgimento della aziende - che possono aiutare sul sentiero delle riforme, a evitare intoppi sul sentiero della messa a segno degli obiettivi e a spendere al meglio l’imponente ammontare di finanziamenti in arrivo dall’Europa fino alla fine del 2026 (circa 191,5 miliardi di euro, che fanno dell’Italia la prima beneficiaria tra i Ventisette).
Il governo Meloni, si apprende da palazzo Chigi, è sulla stessa linea di Confindustria, d’accordo con la destinazione dei cosiddetti fondi “residui” a incentivi per gli investimenti delle imprese con impatti positivi sulla crescita, sulla scia di quanto pattuito dai leader dei Ventisette.
IL DIALOGO
Dopo il doppio rinvio di febbraio e marzo, la terza tranche di pagamenti dal valore di 19 miliardi di euro è stata staccata, e nel dialogo tra Roma e Bruxelles si volta già pagina per guardare ai 27 obiettivi da centrare per sbloccare la quarta rata (16 miliardi) entro fine giugno, tra cui il superamento delle criticità evidenziate sui nuovi asili nido. In questa direzione, nelle scorse settimane, era arrivata anche la mano tesa delle partecipate statali, pronte a fare la loro parte, “assorbendo” alcuni dei progetti di difficile realizzazione, per evitare il rischio che l’Italia si faccia trovare impreparata alle prossime scadenze e perda quote importanti dei futuri assegni semestrali del Pnrr.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 1 Maggio 2023, 12:03
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