Beckenbauer, la malattia e la causa della morte. Libero in campo e fuori: così ha rivoluzionato il calcio

Questo aggettivo gli sarebbe appartenuto come una seconda pelle, la terza e la quarta furono la maglia della Nazionale di calcio della Germania, che indossò per la prima delle 103 volte (14 reti) a vent’anni nel settembre del ’65, e quella del Bayern, con il quale si tesserò quando di anni ne aveva appena 13

Addio a Beckenbauer, un libero in campo e fuori

di Piero Mei

Franz Beckenbauer se n’è andato nell’anno del suo compleanno numero 78: era nato a Monaco di Baviera l’11 settembre del 1945, quando la Seconda Guerra mondiale era appena finita in Europa (accadde a maggio) e le macerie erano ancora fumanti in tutta la Germania. Nacque, perciò, da uomo libero. Questo aggettivo gli sarebbe appartenuto come una seconda pelle, la terza e la quarta furono la maglia della Nazionale di calcio della Germania, che indossò per la prima delle 103 volte (14 reti) a vent’anni nel settembre del ’65, e quella del Bayern, con il quale si tesserò quando di anni ne aveva appena 13: questa la portò 575 volte tra Bundesliga e svariate coppe (ne vinse dell’una e delle altre: 5 campionati e 4 coppe tedesche, tre coppe Campioni quando erano solo i campioni a parteciparvi, una coppa delle coppe che non c’è più e una intercontinentale): vinse anche tre campionati statunitensi quando i grandi agli sgoccioli della carriera andavano là come fosse l’Arabia a seminare calcio, ma la semina non fruttò molto se non ai loro conti bancari.

Quando tornò in Germania, nella sua seconda nuova stagione “casereccia”, vinse ancora un titolo, e stavolta con la maglia dell’Amburgo. Libero, si diceva: fu quello il ruolo in campo di questo ragazzo bavarese alto 1,81 (mica poco mezzo secolo fa), figlio di un segretario postale e nipote d’uno zio calciatore. Come lo interpretò lui, non lo aveva mai fatto nessuno. Il copione glielo scrisse Helmut Schon, che era cresciuto calciatore nella Germania nazista, poi si era ritrovato in quella dell’Est ed era alla fine approdato in quella dell’Ovest che allenò all’argento mondiale del ’66, alla leggenda di Italia-Germania 4-3, all’oro mondiale in casa del ’74.

Il ruolo del "libero" nato con lui

E sempre c’era Beckenbauer, Kaiser Franz come lo chiamavano, perché era l’imperatore della Germania, quello che c’era prima della tragedia. Giocava da “libero alla Beckenbauer”, perché questo era il modo di dire della sua interpretazione sull’erba (l’avrebbero fatto anche Gaetano Scirea e Franco Baresi), che messo lì davanti alla difesa (ma non nella vigna a far da palo, anzi muovendosi con l’eleganza d’un giocatore che ha stile e qualità e non è l’arcigno e rozzo destinato a prendere qualunque cosa si muovesse, fosse il pallone o il polpaccio non faceva differenza, dicevano i catenacciari.

Ma sì: il Kaiser era, come lo definirono molti, il direttore d’orchestra sulle note di Schoen, e la costruzione cominciava un po’ più dall’alto del basso di oggi. Dal podio, quasi, anziché dalla buca del suggeritore che è la porta del portiere.

Di Beckenbauer in Nazionale si ricordano specialmente quei mondiali: quello del ’66, che la Regina d’Inghilterra era Pelè, come cantò Antonello Venditti. Nella finale che gli inglesi vinsero con il gol che non c’era e giocando in più di 11 (la terna arbitrale) Beckenbauer, che aveva segnato 4 gol nel torneo, cose da Eusebio, ebbe la consegna di controllare fino al gabinetto Bobby Charlton, che ebbe la consegna opposta; i due si cancellarono l’un l’altro; in quell’Italia-Germania del ’70 giocò gli ultimi 25 minuti, la mezzora che fece dormire l’Italia tutta e che ancora fa sognare, con il braccio destro tenuto su da una benda, che non c’erano più sostituzioni ed era caduto malamente lussandosi la spalla; nel mondiale del ’74 vinse la partita che mai avrebbe dovuto vincere, quello dell’Olanda di Johan Crujiff che ti nascondeva la palla e segnò subito ma poi, per dirla con il campione inglese Lineker, “il calcio è quel gioco semplice, 11 contro 11, 90 minuti di durata e alla fine vincono i tedeschi”.

 

Quel record condiviso con Zagallo e Deschamps

Campione del mondo in campo, Kaiser Franz lo divenne anche in panchina e fu il primo a riuscire in questa straordinaria doppietta (il brasiliano Zagallo e il francese Deschamps gli altri a farlo) quando, all’Olimpico di Roma, Italia 1990, la sua Germania che ormai era solo Germania perché il muro era caduto qualche mese prima, sconfisse l’Argentina di Maradona

La vita privata e la malattia

Era così ordinato sul podio d’erba ma lasciava alla mediterraneità bavarese la vita privata e quella dirigenziale: tre mogli, un po’ di guai fiscali, una vaga reticenza (che gli cosò la vicepresidenza della Fifa) nel raccontare come andò l’assegnazione dei mondiali del 2006 alla Germania (mica solo russi, emiratini e arabi…). Poi s’è ammalato. Infarto oculare, il Parkinson, disastri cardiaci. E oggi, via social, la comunicazione familiare della sua scomparsa, poco dopo Sir Bobby Charlton, l’avversario di Wembley, quello da seguire ovunque andasse.


Ultimo aggiornamento: Martedì 9 Gennaio 2024, 08:34
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