Yara, Bossetti ricorre al riesame:
"Non ho motivi per restare in carcere"

Yara, Bossetti: "Non ho motivi per restare in carcere"
MILANO - Massimo Giuseppe Bossetti, dietro le sbarre dal 16 giugno scorso con l'accusa di aver ucciso Yara Gambirasio, deve essere scarcerato. È questa la richiesta che il suo avvocato Claudio Salvagni non smette di ripetere e che oggi ha rinnovato presentando un'istanza ai giudici del Riesame di Brescia. Un nuovo passaggio - dopo il primo rifiuto dei giudici bresciani e dopo il doppio no del gip di Bergamo Vincenza Maccora - in attesa dell'udienza in programma in Cassazione il prossimo 25 febbraio.







I domiciliari, evidenzia il legale permetterebbero a Bossetti «il ricongiungimento del nucleo familiare» con la moglie e i tre figli, i quali «sopportano da mesi inenarrabili patimenti per l'eco mediatico del caso e per la mancanza della figura paterna prima costantemente presente». Il legale condensa, in 48 pagine, tutti i dubbi di un'inchiesta che il pm Letizia Ruggeri si appresta a chiudere e che dal giorno della scomparsa della 13enne (il 26 novembre 2010) al fermo di Bossetti riempie più di 40 faldoni. Una mole di tabulati telefonici, risultati di profili genetici, testimonianze e perizie che riempiono migliaia di pagine, un castello di carte che la difesa si dice pronta a spazzare via.





A portare dietro le sbarre Bossetti sono sostanzialmente quattro elementi: la polvere di calce trovata nei polmoni di Yara, l'analisi delle celle telefoniche, la testimonianza del fratello minore. Il primo elemento non può essere considerato univoco della presenza del 44enne muratore, il secondo mostra che il giorno della scomparsa il cellulare di Yara aggancia oltre un'ora prima la stessa cella di Bossetti, la descrizione fornita da Natan non corrisponde a quella del presunto killer, sentenziano i giudici del Riesame che riducono sostanzialmente alla traccia biologica l'indizio che costringe in carcere l'indagato. La 'prova regina' è il Dna: la traccia mista (Yara - 'Ignoto 1') trovata sugli slip e i leggings della vittima. Il Dna nucleare di Bossetti corrisponde con quello di 'Ignoto 1', ma non il suo Dna mitocondriale.



Alla luce dei dubbi scientifici contenuti nella recente consulenza del perito della procura Carlo Previderè, l'avvocato oggi si rivolge nuovamente al Riesame dopo il secondo no del giudice Maccora. Per il legale, il gip di Bergamo non risponde «al manifestato, acclarato e determinante dubbio circa l'assenza del Dna mitocondriale di Ignoto 1 su tutte le tracce biologiche analizzate», e non fa emergere quello che appare «un disperato tentativo di conferire valore granitico alle risultanze dell'analisi genetica», a dire di Salvagni. L'ordinanza impugnata non spiega «la sussistenza di una legge scientifica che permetta di ritenere legittima l'identificazione di un soggetto attraverso il Dna nucleare nonostante una situazione contestuale insolita relativamente al Dna mitocondriale».







Il gip non fa cenno all'assenza di peli e capelli di Bossetti sul corpo della vittima, nè della mancanza di tracce di Yara all'interno del furgone dell'indagato; né agli elementi non ritenuti indiziari dal Riesame di Brescia, e «illegittimamente» invece avrebbe valutato due elementi introdotti «con una chiara violazione del contraddittorio» dalla procura, ossia la testimonianza di una donna (ritenuta tardiva e messa in dubbio dal pool difensivo) e la perizia su pc e telefoni dell'indagato su cui il giudice non si sarebbe dovuto esprimere. L'attività dei periti della procura «è avvenuta tra giugno e luglio scorso», spiega il difensore Salvagni e «risulta incompatibile con l'accertamento tecnico irripetibile disposto dalla procura che prevedeva l'inizio delle operazione peritali per il 15 ottobre 2014 nella sede del Ris di Roma».



Ossia qualcuno avrebbe messo mano a quei dispositivi prima di quanto consentito, rendendoli «inutilizzabili» ai fini del processo, e non solo: «i consulenti tecnici della procura dichiarano di aver perso la copia forense della memoria di uno dei telefoni cellulari» di Bossetti. Quanto al movente sessuale, per la difesa non potrebbe essere ricollegato alla navigazione web visto che la stessa «non evidenzia alcun contenuto di natura pornografica, benché meno - conclude il legale - con raffigurazione di minori». Per l'accusa è lui a far queste ricerche online lo scorso 29 maggio - è stato accertato non essere a lavoro quel giorno - ma gli inquirenti non spiegherebbero chi fa ricerche simili il 7 maggio quando invece l'operaio edile è in cantiere. Contro il «detenuto modello», dietro le sbarre da otto mesi, «ancora una volta nei documenti della procura viene presentato un elemento come indiziario (peraltro utilizzato dal gip, invece, ai fini delle esigenze cautelari), fingendo di non vederne uno identico, di uguale portata e natura, tale da azzerare la valenza ai fini dell'indagine dell'elemento proposto».
Ultimo aggiornamento: Sabato 21 Febbraio 2015, 11:20
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