Si porta sul volto l’ironia della terra che l’ha cresciuta, quella Napoli che ti offre gratis, ogni giorno, una distesa di mare davanti agli occhi per far spaziare i pensieri e, alle spalle, una ragnatela di strade, esseri umani e caos dalla quale raccogliere storie come prede. Poi, però, accade che Francesca Puglisi, leonina (per i folti capelli ricci e per la caccia alle storie di cui sopra) attrice comica faccia un balzo felino a Milano, e ci trovi una tana esistenziale. Perché? Non solo perché Milano è la capitale del cabaret nazionale.
Dunque, ci spiega il suo lato milanese?
«Il primo motivo che mi ha portato qui è, ovviamente, il lavoro. E ditemi voi se non dovevo correre: sono stata chiamata dall’Accademia del Piccolo Teatro».
Una palestra dove diventare artisti a tutto tondo: e come mai ha scelto la comicità?
«Un bel giorno Luca Ronconi mi disse quattro parole: tu sai far ridere. Sentirselo dire da lui è stato come un flash. Sulle prime pensavo fosse una condanna: volevo fare teatro drammatico. Poi ho capito: di questa capacità potevo fare una professione».
Ora, in quest’epoca spettinata dal cattivo umore della pandemia, come si fa a far ridere?
«Duro lavoro, ma come si dice qualcuno lo deve fare. Solo che la mancanza di contatto col pubblico è dolorosa. La gente attorno, nel rito del cabaret, è fondamentale».
Si può far ridere anche così come, per citare la mitica Jessica Rabbit, l’hanno disegnata?
«Quello tra comicità e aspetto bruttino è un luogo comune. Un nome su tutti: Virginia Raffaele, bellissima e bravissima. Comunque c’è chi mi ha consigliato di nascondere la fisicità, altri invece mi chiedevano di sparare il tacco 12».
Cos’è che la ispira di più come comica?
«La quotidianità, mia e di tutti gli esseri umani, la mia salita a Milano, le precarietà professionali, i miei tic: sono animalista ma mangio carne, sono napoletana ma non bevo caffè».
Qual è stato il suo ultimo spettacolo portato in scena?
«Solo virtuale, purtroppo: Il meglio di me, il giorno di San Valentino nel cartellone di “Ieri e Oggi Teatro 2.0 Live Streaming”, una rassegna curata da Luca Cecchelli e Roberto Piano. È una raccolta di monologhi tratti da due spettacoli, Ccà nisciuno è fisso – L’era della precarietà e Non è Francesca – storie di ordinaria contraddizione: col primo debuttai al Teatro della Cooperativa nel 2016, col secondo esordii a gennaio 2020, prima del disastro».
Come vive, da attrice e da donna, questo momento difficile?
«La prima sberla, a marzo 2020, mi colse alla sprovvista e, ammetto, caddi nello sconforto.
Ha un luogo del cuore in città?
«È un locale: l’Après-Coup in Porta Romana, nel quale io e altri cabarettisti abbiamo trovato un salotto amico».
Le sue prede narrative le trova facilmente a Milano come avveniva a Napoli?
«Napoli è un teatro open air, si sa. Ma non si creda che Milano sia troppo diversa: la multietnicità di questa metropoli è una fonte di ispirazione continua. Certo, serve la gente in strada però».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 12 Marzo 2021, 08:51
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