Meriem, la giovane jihadista padovana ora è pentita: «Voglio tornare in Italia anche se andrò in carcere»

Meriem, la giovane jihadista padovana ora è pentita: «Voglio tornare in Italia anche se andrò in carcere»

di Simone Pierini
«Voglio tornare in Italia, anche se dovrò andare in carcere»Meriem Rehaily, 22 anni, padovana di origini marocchine, in lacrime, sa che rientrare significa dover scontare una condanna a 4 anni per terrorismo internazionale, inflitta nel dicembre scorso dal Tribunale di Venezia. Ma dal campo di prigionia curdo di Roj, una tendopoli nel nordest della Siria dove si trova da sei mesi insieme a centinaia di mogli dell'Isis - e dove è stata raggiunta da un inviato de 'Il Giornale' - l'ex studentessa con la fissazione di internet vuole solo cancellare il suo passato di foreign fighter per ritrovare un presente di normalità e affetti quotidiani.

Meriem è viva ed è stata intercettata

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Il papà ​di Meriem: "Cercarla mi fa paura"

«Almeno riabbraccio la mamma - aggiunge - che mi manca tanto». Nei tre anni di assenza dalla fuga da Arzergrande nel luglio 2015 a 19 anni, Meriem è diventata a sua volta madre di due bimbi, Farouk di un anno e mezzo e Basim di 6 mesi avuti dal marito palestinese, che come lei aveva prestato giuramento di fedeltà al califfato di al Baghdadi. «Sono una terrorista per il governo - si difende - ma in Italia non ho fatto nulla. Dall'Isis ho subito un lavaggio del cervello: prima vivevo come una normale adolescente che andava a scuola e uscivo con gli amici. Poi ho chiuso gli occhi e mi sono ritrovata in Siria». Il suo adescatore via internet, che l'avrebbe fatta giungere nel Califfato passando per Istanbul e che era intenzionato a sposarla, è morto nella battaglia di Raqqa del 2017. Le parole di contrizione di «sorella Rim», il nome di battaglia di Meriem, non convincono oggi il suo legale d'ufficio, Alberto Niero, così come la ricostruzione della vicenda che sino ad ora si è fatta.



Arruolata nell'Isis a 19 anni

«Il padre non ha mai perso i contatti con la figlia, ha sempre saputo tutto di lei, ma non ha mai voluto parlare» obietta, sottolineando che l'uomo, inspiegabilmente, non ha mai voluto incontrarlo durante le udienze del processo. Redouane Rehally, che ha sempre affermato di non aver mai sentito Meriem dopo la sua fuga, infatti viene smentito proprio dalla figlia. Le ha mandato dei soldi per farla fuggire: «ma sono stata presa - ricorda la giovane - e sbattuta per 52 giorni in una celletta». Pur di riavere in Italia la ragazza, mamma Khadija insieme al marito ha scritto il 7 giugno una lettera alle autorità curde. «Abbiate misericordia di questa famiglia che vive nell'inferno di aver perso una figlia - chiedono - Una famiglia che non ha nessuna colpa se non quella che l'Isis ha rubato il fiore più bello della loro vita, Meriem».

Frasi toccanti che lasciano indifferente il legale della giovane. «Se fosse realmente pentita chiederebbe veramente scusa - conclude, sottolineando la sua convinzione di una 'regia' dietro a questa storia - il rischio è invece che tornata in Italia e scontata la pena continui a fare proselitismo». Tanto più che la stessa Meriem pensa che «l'Isis non sia finito» e che ci siano «troppi jihadisti giunti in Europa all'insaputa dei governi». Uomini ma anche tante giovani. «Di donne jihadiste ne conosco tante che sono riuscite a scappare attraverso la Turchia, ma non posso direi i loro nomi».
Ultimo aggiornamento: Domenica 17 Giugno 2018, 10:14
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