Pordenone, meno pazienti, chiuso un reparto Covid. Festa in ospedale: «E' stato uno sforzo immenso»
di Cristina Antonutti
prima volta sono scesi a 25.
Perde lavoro e casa e finisce a vivere in auto: «Scusatemi, non so dove andare». E la polizia lo aiuta
Dottor Tonizzo, come valuta il trend delle dimissioni?
«Da un mese siamo sotto pressione. Adesso i posti letto Covid occupati sono 25, un reparto Covid è stato chiuso e abbiamo mantenuto 40 posti letto. Bisogna tenere alta l’attenzione, perchè questo virus non ci lascerà. Lo avremo per mesi, magari di bassa intensità. Adesso aspettiamo i pazienti che lasceranno la terapia intensiva per la riabilitazione respiratoria e motoria, ci aspetta un altro tipo di paziente».
Quanti malati avete trattato?
«In un mese sono stati 144, quasi tutti del Pordenonese. Il 60% sono uomini con un età media di 68 anni e il 40% donne con età media di 73 anni. Il 60% dei nostri ricoverati aveva più 60 anni».
Che risultati avete ottenuto?
«I dimessi sono stati 89. I trasferiti in semintensiva respiratoria sono stati 10, in terapia intensiva 5. Tenendo conto che ci siamo dovuti inventare tutto, perchè non c’era alcuna linea guida, direi che il dato è positivo. Tanti pazienti, ad esempio, hanno complicanze vascolari importanti e abbiamo dovuto a trattarli subito con l’eparina».
Qual è stato il momento più critico?
«Adesso ci siamo stabilizzati, il numero dei contagi è in aumento, però sono persone asintomatiche. Ma due venerdì fa, erano le sette e mezza di sera, eravamo arrivati al punto che se l’andamento dei ricoveri fosse rimasto tale, non avremmo avuto più posti letto. Alle otto e mezza di sera, con le caposale, siamo andati a preparate un’altra area di degenza Covid, temevo che tra sabato e domenica avremmo sforato. Per fortuna non è andata così. È stato un momento molto difficile».
La risposta del personale?
«Grande entusiasmo. Quando ho proposto alla terza medica di portare un’area Covid, in poche ore hanno sbaraccato il piano e spostato tutti i pazienti no Covid. In un pomeriggio sono state preparate due stanze a pressione negativa, con un aspiratore che butta fuori continuamente l’aria. C’è stata una gara di solidarietà da parte di tutti. Ci hanno donato i ventilatori non invasivi: rianimatori e pneumologi sono venuti a insegnarci come usarli. Questo ci ha permesso di crescere professionalmente, purtroppo c’è stato anche qualcuno che si è infettato».
Ieri, Venerdì Santo, il vescovo ha celebrato una messa in ospedale ricordando proprio il vostro sacrificio.
«Sì, è stato toccante. Da noi i contagiati sono due medici che lavoravano in Covid e una decina di infermieri della Medicina. Per fortuna sono stati trattati a casa, soltanto uno è stato ricoverato per un breve periodo. Questo rischio sappiamo che può esserci. Un po’ di patema c’è, i dati nazionali parlano di cento medici e una trentina di infermieri deceduti. Ma nessuno si tira indietro. E non voglio dimenticare i portantini, anche loro garantiscono il servizio». Monsignor Pellegrini ha anche ricordato che ogni giorno incontrate tanti Crocefissi contagiati...
«È la cosa più triste: chi è mancato, è morto da solo. Speriamo di avergli dato un minimo di conforto stando loro vicino».
Quando ritroverà la sua fisionomia l’ospedale?
«Non sarà più quello di prima, dovremo pensare a un’area Covid. Non sappiamo dove e come. Questo virus è una cosa nuova, l’unica terapia possibile saranno i vaccini. È questa una grande lezione per i No Vax».
Ultimo aggiornamento: Sabato 11 Aprile 2020, 20:19
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