Mezzo secolo dal disastro aereo delle Ande: «La cosa peggiore non fu dover mangiare i nostri amici»

La commemorazione a Montevideo, ma anche un nuovo film in uscita su Netflix per raccontare una storia macabra ma anche piena di speranza

Mezzo secolo dal disastro aereo delle Ande: «La cosa peggiore non fu dover mangiare i nostri amici»

di Enrico Chillè

Mezzo secolo da uno dei peggiori disastri aerei della storia. Quello delle Ande. Sono passati esattamente 50 anni da quel 13 ottobre del 1972, quando un Fokker uruguaiano si schiantò lungo la catena montuosa, in territorio argentino, dando inizio a una delle storie più incredibili dell'umanità. Una storia inevitabilmente macabra, ma anche piena di speranza.

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Il disastro aereo delle Ande, 50 anni dopo

Sull'aereo, un Fokker noleggiato dall'aeronautica militare uruguaiana, viaggiava una squadra di rugbisti, l'Old Christians, insieme ad alcuni familiari e amici. I 45 occupanti (40 passeggeri e cinque membri dell'equipaggio) dovevano raggiungere Santiago del Cile, ma le scarse condizioni di visibilità e un errore dei piloti fece schiantare il velivolo lungo la Cordigliera delle Ande, in territorio argentino. Dieci persone morirono nello schianto o immediatamente prima, altre otto per le conseguenze dell'incidente. Altre otto furono travolte da una valanga e altre tre di stenti o in circostanze tragiche in montagna. Solo 16 persone riuscirono a sopravvivere, dopo aver passato oltre due mesi nel gelo della montagna, e dovendo addirittura ricorrere al cannibalismo, nutrendosi dei corpi degli altri passeggeri morti. Una storia incredibile, raccontata in tanti libri e film. Il primo fu I sopravvissuti delle Ande, girato nel 1976, seguito poi dal remake Alive - Sopravvissuti, del 1993. 

Disastro aereo delle Ande, la commemorazione

I superstiti e i figli delle vittime della tragedia dell'aereo con a bordo una squadra di giovani rugbisti uruguaiani, schiantatosi sulle Ande 50 anni fa, parteciperanno oggi a Montevideo ad una messa nel Collegio Stella Maris di Montevideo.
In una intervista alla radio MDZ di Montevideo, uno dei superstiti, Antonio Zerbino, ha confermato che «oggi condivideremo insieme, noi che viviamo ancora, ed i figli di quelli che se ne andarono quel giorno, una messa alla scuola Stella Maris che tutti frequentammo da giovani». Poi, ha aggiunto, «parteciperemo ad una partita di rugby nell'ambito della Coppa dell'Amicizia, come facciamo ogni anno, in due tempi da 40 minuti».
I 50 anni dalla tragedia sono stati ricordati l'8 ottobre nella capitale uruguaiana in una cerimonia presso il Museo Andes 1972, a cui ha partecipato anche il presidente uruguaiano Luis Lacalle Pou. Per l'occasione le Poste uruguaiane hanno presentato un francobollo commemorativo e la Banca centrale dell'Uruguay (Bcu) ha annunciato la produzione di 5.000 monete commemorative.

Disastro aereo delle Ande, un nuovo film

La tragedia e la storia dei sopravvissuti ha ispirato anche un libro, La società della neve, scritto da Pablo Vierci.

Dal libro è stato tratto un film per Netflix, diretto da Juan Antonio Bayona. Proprio lo scrittore, amico di alcuni dei passeggeri deceduti e sopravvissuti alla tragedia, racconta tanti aspetti della vicenda. A cominciare da quella società nuova, costituitasi in quei momenti drammatici, che dà il titolo al libro e al film: «Loro dissero di non essere mai stati persone migliori come in quei due mesi. Quello che hanno provato è impossibile da descrivere, erano uruguaiani, gente di mare, ritrovatasi all'improvviso al gelo, a 3700 metri d'altitudine, e dati per morti. Hanno dovuto inventare una società nuova, dove non vale la regola "Si salvi chi può", ma tutto il contrario: la salvezza vera è quella collettiva, non quella individuale. Tutti hanno dato sé stessi per gli altri, fino al sacrificio estremo, in un'epoca in cui era un tabù perfino la donazione degli organi».

I sopravvissuti: «La cosa peggiore non fu mangiare i nostri stessi amici»

La decisione più estrema fu quella di nutrirsi dei corpi delle persone decedute. «I sopravvissuti avevano fatto un patto: avrebbero fatto da combustibile l'uno per l'altro, hanno accettato di donare il loro corpo per gli altri. Fu qualcosa di rivoluzionario, ma anche necessario: tutti avevano perso almeno 30 chili di peso» - spiega l'autore del libro a La Voz de Galicia - «Quello che mi hanno raccontato i sopravvissuti è che la cosa peggiore non fu mangiare i corpi dei loro stessi amici, ma l'incertezza. E le cose peggiorarono quando una valanga travolse e uccise otto dei sopravvissuti, o quando, da una radio che avevano in aereo, avevano scoperto che li avevano dati ufficialmente per morti e che le ricerche si erano interrotte».


Ultimo aggiornamento: Giovedì 13 Ottobre 2022, 18:40
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