Metodo condiviso/ La Ue non può permettersi la deriva siriana per la Libia

Metodo condiviso/ La Ue non può permettersi la deriva siriana per la Libia

di Vittorio Emanuele Parsi
Un’attiva solidarietà europea che parta dall’identificazione di una posizione comune sulla quale convergere nel nome di un interesse condiviso. È il principio che ha consentito di dare vita al “Recovery Fund” europeo ed è quello che ci aspettiamo legittimamente venga applicato ovunque gli interessi vitali europei siano in gioco, compresi quelli di sicurezza e a partire dalla Libia. La Libia è a rischio di “sirianizzazione”, una prospettiva che non solo l’Italia, ma l’Europa tutta non può permettersi. 

A una simile prospettiva hanno concorso i velleitarismi, le indecisioni e le incoerenze di più di un Paese membro dell’Unione: a partire da Francia e Italia, che d’altra parte hanno agito – nel bene e nel male – a fronte di una latitanza dell’Unione nel suo complesso, della confusione e del disingaggio degli Stati Uniti, dell’attivismo e russo e turco oltre che saudita, egiziano, emiratino o quatariota.

Nei mesi più drammatici dell’emergenza coronavirus, Ankara e Mosca sono sembrati protagonisti assoluti o perlomeno solitari. Le due leadership hanno potuto continuare a gestire le proprie politiche estere come se uno autentico tsunami non avesse colpito il pianeta, il sistema internazionale e i loro stessi sistemi economico-sociali. Ma hanno dovuto constatare come la via del patrocinio sempre più muscolare dei propri “clienti” locali non portava da nessun’altra parte che verso la moltiplicazione del caos. 

Non è un caso che proprio Ankara e Mosca stiano cercando una forma di compromesso che eviti un’ulteriore escalation e che su questa prospettiva si muovano anche Stati Uniti ed Egitto.

Una sirianizzazione della Libia non possono permettersela non solo l’Italia o la Francia, ma l’Europa nel suo complesso, perché proprio come Unione abbiamo almeno due confini con la Libia, entrambi porosissimi alla destabilizzazione. Il primo e più ovvio è quello mediterraneo, il secondo e meno scontato è quello del Sahel, dove francesi, italiani e tedeschi da ben prima della pandemia operano congiuntamente e con grande “discrezione”. 

Quando pensiamo al tracollo della Libia, alla radicalizzazione e cronicizzazione delle sue lacerazioni intestine, al suo divenire sempre più un mero campo di battaglia e di scontro tra ambizioni e interessi esterni, una delle prime emergenze a cui probabilmente pensiamo è quella migratoria. Le coste libiche come una gigantesca “infrastruttura” a disposizione dei network criminali che lucrano sulla disperazione. La seconda è quella della creazione di un gigantesco santuario per le più svariate organizzazioni jiahdiste cui potrebbe offrire una nuova dimensione territoriale. Tutte considerazioni legittime e giustificati motivi di preoccupazione e, soprattutto, moventi per un’azione comune.

Dovremmo tuttavia ricordarci che l’intero Sahel potrebbe “saltare” se la Libia finisse ulteriormente fuori controllo, con i rischi di diventare un gigantesco serbatoio e moltiplicatore di quelle preoccupazioni per la nostra sicurezza e la nostra stabilità che, giustamente, tornano a farsi più presenti a mano a mano che la sospensione delle nostre vite si allontana insieme al lockdown.

Trovare il punto di convergenza delle diverse politiche e dei diversi interessi nazionali è sempre complicato: lo abbiamo ben visto nei ritardi e nelle lentezze con cui l’Unione e i suoi Stati membri sono arrivati a concepire una politica comune nei confronti delle disastrose conseguenze economiche e sociali della pandemia. Ma trovare un punto di convergenza è la sola possibilità che abbiamo per non essere condannati all’irrilevanza di fronte alle sfide nuove e a quelle che, seppur ci appaiano “vecchie” – o dovremmo dire più consuete – non per questo si risolvono da sole o cessano di essere meno cruciali. Le rivalità nazionali possono essere stemperate e trovare un punto di sintesi solo all’interno di una concezione che si proponga come autenticamente europea. In passato in molti, noi compresi, hanno tentato di intestarsi questa o quella politica presentata come il perseguimento di un interesse comune senza che davvero lo fosse. Oggi Washington sembra premere per un maggiore coinvolgimento italiano nella crisi. Roma farà bene a non defilarsi, a recuperare la saldezza del rapporto con Serraj, ma dovrà anche guardarsi dal non finire strumento dell’ondivaga politica altrui. 

Se una cosa la pandemia ci ha insegnato è che non è più tempo di magheggi, furbizie e dissimulazioni, che non solo non portano da nessuna parte, ma depistano e fanno perdere tempo. Non basta sperare che la lezione sia stata imparata. Occorre anche lavorare con pazienza e determinazione per metterla in pratica ed estenderne il campo di applicazione: semplicemente perché tutte le altre alternative sono peggiori.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 11 Giugno 2020, 09:18
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