Palestina sogna con il calcio, la nazionale senza una casa va ai quarti della Coppa d'Asia

La Palestina sogna con il calcio, la nazionale senza una casa va ai quarti della Coppa d'Asia

di Giuseppe Mustica

I calciatori che giocano nel campionato della Cisgiordania mangiano e dormono insieme da tre mesi: pochi giorni dopo il 7 ottobre, data in cui Hamas ha attaccato Israele facendo scatenare la controffensiva, hanno lasciato la propria terra per andare ad affrontare due partite di qualificazione alla prossima Coppa del Mondo, una in Kuwait (in "casa" contro l'Australia), l'altra negli Emirati Arabi. Da quel momento in poi non hanno fatto più rientro, costretti a rimanere lontani per il rischio di non poter uscire da quel lembo di terra dove dal cielo piovono bombe, dove le restrizioni non guardano in faccia nessuno e dove i campi non esistono più. Anche perché la stagione, lì, è stata fermata. Molti hanno vissuto insieme l'inasprirsi del conflitto, col telefono sempre vicino anche durante gli allenamenti, in attesa di notizie. Col terrore di non ricevere nessuna risposta. Con la faccia sfigurata dalla paura nel momento in cui il telefono squillava. Ciononostante la nazionale della Palestina ha fatto la storia: per la prima volta, alla terza apparizione, ha staccato il pass per i quarti di finale della Coppa d'Asia vincendo 3-0 contro Hong Kong e qualificandosi come una delle migliori terze. Una parvenza di umanità e di "altri pensieri" per una nazionale guidata dal tunisino Makram Daboub che a Doha, adesso, non vuole fermarsi: «Vogliamo ottenere ciò che la nostra gente merita. Volevamo trasmettere al mondo il messaggio che abbiamo anche noi il diritto di partecipare a tutti i principali tornei di calcio. Meritiamo di essere qui», le parole del capitano Musab Al-Battat. Le lacrime di Mohammed Saleh invece, nato a Gaza, uno dei pochi che si è potuto muovere solamente perché è tesserato con un club egiziano, non erano solamente l'immagine della gioia per un'impresa storica: erano un misto di disperazione e rabbia. Di paura e di speranza. Di voglia di riscatto. Giocare per il ricordo, come Mahomoud Wadi, che prima del debutto contro l'Iran (perso 4-1) ha raccontato, schiacciato dal dolore: «I miei cugini sono stati uccisi oggi, 30 minuti fa».

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GOL E MORTE

Durante il conflitto, secondo alcune stime, sarebbero stati uccisi oltre 70 calciatori. Un numero che si alza se aggiungiamo allenatori e preparatori atletici. Una nazionale giovane quella palestinese, riconosciuta dalla Fifa solamente nel 1998 con Blatter, allora presidente, che andò a fare visita a Rafah per stringere la mano al primo commissario tecnico della storia Ricardo Carugati, un argentino. Dopo i gol contro Hong Kong i giocatori hanno esultato incrociando mani e polsi e disegnando una V con le dita: il significato è quello di libertà e viene fatto anche dalla squadra femminile.

LA STELLA

Oday Dabbagh, classe 1998, è un tesserato dello Charleroi, in Belgio. È lui la stella di questa squadra, il primo a giocare in Europa. Nato a Gerusalemme è cresciuto con l'idolo Van Persie. Il secondo portiere, Amir Kaddoura, ha legato la propria carriera alla squadra svedese del Landskrona, perché è nato lì e perché è stato naturalizzato. Tutti gli altri giocano tra Kuwait, Egitto, Cile e Arabia Saudita. Quelli che ovviamente ancora hanno un campionato da disputare. Gli altri al momento dividono il pensiero tra la Coppa e la guerra. Tra l'odore dell'olio canforato e quello del sangue. Tra il rumore dei tifosi e quello delle bombe. Un cuore diviso a metà con la voglia di scrivere la storia dal lato bello della medaglia. Lasciando agli altri quella che riempirà i libri: di solito quella è tragedia. Il lato terribile.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 25 Gennaio 2024, 13:33

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