De Rossi lascia il Boca e il calcio: «Sono triste. Ma devo stare con i miei figli»

De Rossi lascia il Boca e il calcio: «Sono triste. Ma devo stare con i miei figli»

di Alessandro Angeloni
«Ha segnato il ragazzino». Sì, era un bimbo, quel De Rossi, nel maggio del 2003, quando per la prima volta veste da titolare la maglia della sua Roma. «Ha segnato il ragazzino», lo disse Franco Sensi, il presidente, commosso in tribuna, non ricordava il nome, ma di Daniele sapeva già tutto. Tutti sapevano tutto. Daniele pure sapeva. Sapeva che avrebbe donato «una sola carriera alla Roma». Non sapeva che l’avrebbe dovuta lasciare prima del previsto, quando non voleva lui ma hanno voluto altri. Sapeva che avrebbe amato solo un’altra squadra poi, cioè il Boca. Non sapeva che ci avrebbe giocato, lo ha capito col tempo e quando è rimasto a piedi. Un rapporto breve ma intenso con gli argentini, finito con qualche mese di anticipo, dicono, per incomprensioni con la nuova società (la cordata di Jorge Ameal guidata dal Mudo Riquelme tra i dirigenti). Daniele dice addio al calcio. Non vedeva l’ora di tornare a casa, qui c’è la sua famiglia, che non vuole tenere lontano più di quanto non abbia già fatto. Ha bisogno di stare vicino soprattutto alla figlia Gaia. E poi, alla piccola Olivia e a Noah, più la bellissima compagna, l’attrice, Sarah Felberbaum. 



BILANCI
Daniele ha dato alla Roma un’anima, parecchie fibre muscolari, caviglie, per non parlare delle presenze (616, solo Totti ha fatto di più) e dei gol (63). Ha regalato spessore, romanismo, romanità, senso di appartenenza, merita una partita d’addio, come si deve. Quelle qualità ancora echeggiano da queste parti, che mancano. De Rossi è un ragazzo intelligente - come dice Nainggolan «impossibile pensarlo lontano dal calcio» - sa che sta per ricominciare un’altra vita, non necessariamente nella Roma, ma nel pallone sì. Torna in Italia da uomo più maturo, bastava sentirlo parlare ieri in perfetto Porteño per capire che stiamo raccontando un giocatore e un uomo di alto livello. Al Boca non è andata benissimo, se parliamo di presenze (solo sette) con un gol (all’esordio, anche qui), ma è andata benissimo per come è stato accolto e per quello che ha rappresentato in pochissimo tempo. “Tano”, l’italiano. Un tratto distintivo e profondo, perché l’Argentina ha l’Italia dentro e Daniele c’è entrato con la solita passionalità di chi scalcia l’indifferenza. «E’ un giorno triste», ha detto in conferenza stampa, dopo aver comunicato al club che avrebbe ripreso la strada di casa (dei campioni del mondo in attività è rimasto solo Buffon). «Non ho problemi fisici, ho solo voglia di tornare dalla mia famiglia». S’era parlato di questioni di salute legate a uno dei figli, prontamente smentiti da Daniele. «Non voglio entrare troppo nei dettagli delle questioni familiari, ma la mia figlia più grande, di un altro matrimonio, è rimasta in Italia. E una ragazza ha bisogno che suo padre le sia vicino. In teoria, potrebbe essere in pericolo e io devo avvicinarmi». De Rossi si riferisce alla primogenita, Gaia, avuta dal matrimonio controverso con Tamara Pisnoli, spesso coinvolta in guai con la giustizia, tanto che il gip, in un’ordinanza, la definì donna con «una significativa tendenza all’uso della violenza». Ecco, quel matrimonio da Daniele fu definito “un errore”, ma non sarà mai un errore la figlia, a cui vuole stare vicino, il più possibile. La lontananza non aiuta. «A Baires siamo lontani, fare quattordici ore di volo non è come andare in auto da Trigoria a casa mia. Se avessi avuto venticinque anni avrei deciso altro. E’ un giorno triste avrei voluto giocare altri dieci anni. Il mio futuro è tracciato farò l’allenatore e studierò nei prossimi mesi. La Roma è stata la mia vita, non pensavo di amare un’altra squadra come è successo con il Boca. Sarò sempre parte di questo club. Potrei avere aperto una strada, spero che altri calciatori europei possano venire qui». 

LA STRADA
De Rossi apre la sua di strada, quella di un allenatore, figura che ricopriva anche da giocatore. Lo ha ricordato Ranieri, lo ha ribadito Nainggolan, lo ha sempre sostenuto Spalletti, Totti e tutti i compagni con cui ha giocato. Non a caso anche Lippi, nel 2006, dopo le quattro giornate di squalifica nel Mondiale in Germania lo ha riproposto, e senza pensarci un secondo, in finale contro la Francia. E lui, come nulla fosse, a soli 23 anni, ha calciato uno dei tiri di rigore, segnando con la freddezza di un quarantenne. De Rossi non ha avuto la fortuna di vincere uno scudetto con la Roma. E’ un cruccio, un sogno irrealizzato, un buco. Magari, chissà, c’è ancora una vita da dedicare alla Roma. E forse lui ancora non lo sa. 
Ultimo aggiornamento: Martedì 7 Gennaio 2020, 16:43

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