In bianco e nero, così lenta da poterla assaporare, con una fotografia sempre spettacolare. È la rivelazione del momento, su Netflix, la serie “Ripley”, ispirata dal romanzo di Patricia Highsmith, già adattato quasi 30 anni fa nel film con Jude Law e Gwyneth Paltrow. Così come nella versione dell’epoca i protagonisti giovani, indomabili e pronti a conquistare il mondo, si ritrovano e i loro destini si intrecciano. Il protagonista assoluto, nei panni di Ripley, è l’irlandese Andrew Scott, già nemesi di “Sherlock”/Cumberbatch e di recente interprete di piccoli capolavori come “Estranei”. Dakota Fanning, ex-enfant prodige, qui è nei panni di Marge (la fidanzata del giovane Dickie). L’Italia degli anni 50 diventa una sorta di terra promessa, tra Atrani, Roma, Venezia, Capri e Palermo. La storia inizia con un milionario che invia da New York a Napoli un’agente di riscossione (Tom Ripley) per riportare a casa il figlio fuggito nel Belpaese (Dickie). «Con le icone letterarie – racconta Scott durante un incontro con la stampa internazionale – il pubblico ha un tale senso di possesso che vuole dar loro un’etichetta, “sociopatico”, “predatore”, “serial killer”, ma a me non interessa perché non credo che Tom sia tutto questo dalla nascita. Tutti possiamo sbagliare». In questa trasposizione di “Ripley” «c’è a tratti qualcosa che non ti aspetti e ti cattura ma per metterla in scena occorre che gli attori siano coordinati e io e Andrew lo siamo stati – aggiunge la Fanning – ci siamo affidati l’uno all’altra e, anche se lavoro da tanti anni, essere lì sul set e guardarlo prendersi lo spazio è stato un regalo enorme». «Per non parlare della prospettiva usata dal racconto: il pubblico si sente come Tom Ripley e non come una sua vittima».
D’altra parte Ripley è «ignorato dalla società, eppure pieno di talenti, che poi sfrutta nell’arte (che trafuga) ma per sopravvivere», spiega Scott.
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Ultimo aggiornamento: Martedì 16 Aprile 2024, 06:30
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