Mare fuori, il regista Ivan Silvestrini lascia: «Non volevo la mia creatività dietro le sbarre. Ora lavoro a un horror ambientato a Napoli»

Dal perché della scelta di non continuare la direzione del prison drama ai nuovi progetti per il futuro, Silvestrini si racconta a Leggo

Video

di Sabrina Quartieri

Le strade tra Ivan Silvestrini e Mare fuori si separano. Dopo tre anni e due stagioni e mezzo di riprese dedicati alla serie di successo su un gruppo di giovani detenuti in un carcere minorile di Napoli, il regista romano dice addio al fenomeno televisivo ideato da Cristiana Farina e prodotto da Rai Fiction e Picomedia. Una storia che ha appassionato un pubblico trasversale, ma il cui finale della quarta stagione ha lasciato una parte degli spettatori con l’amaro in bocca, per una conclusione giudicata “senza senso”.

Che cosa risponde a chi ha mosso queste critiche?

«Ho capito che molti spettatori cercavano nella storia di Rosa e Carmine, ma non solo, quel senso che spesso nella vita non riescono a trovare e sono liberi di avercela con noi per questo. Ma in realtà, quello che questi finali contengono sono degli insegnamenti più profondi e, per certi versi, difficili da accettare. Io non posso che auspicare che col tempo si comprenderà perché le cose sono andate così e, comunque, la storia non è finita qui. Io stesso spero che certi personaggi possano ritrovarsi in futuro».  

Ivan Silvestrini con gli attori Maria Esposito e Gennaro Della Volpe sul set (foto di Sabrina Cirillo)

Ma lei crede nel futuro della serie, nonostante molti protagonisti siano usciti?

«Io credo che una serie come Mare fuori racconti prima di tutto un luogo che è un contenitore di storie. Quindi, questa serie, attraverso una rifondazione, continuerà a vivere finché gli autori avranno fantasia per riempirla di storie».

Come mai ha deciso di lasciare?

«Molte sono motivazioni personali che tengo per me, ma ci sono anche ragioni che posso condividere. Una su tutte, credo di aver raccontato un arco, un lungo film. Non volevo andare avanti all’infinito e finire io stesso a livello creativo dietro quelle sbarre e non avrei fatto il bene della serie a continuare per soldi o per affetto verso il cast. Mare fuori è a un punto di svolta critico, è all’inizio di una nuova era e ha bisogno di un regista che la veda come una grande sfida per se stesso. Non a caso hanno scelto un collega più giovane di me di dieci anni». 

Sente di essere riuscito a esprimere tutto quello che voleva?

«Penso di essere riuscito a esprimere molto più di quello che credevo. Ritengo che una cosa che sono riuscito a lasciare è un racconto sulle sfumature del grigio, partendo da un materiale narrativo che tendeva a essere o bianco o nero, perché credo nella complessità e anche che le persone non possano essere catalogate in due macro insiemi: il Bene e il Male». 

Ivan Silvestrini durante le riprese di "Mare fuori" (foto di Sabrina Cirillo)

C’è qualcosa che avrebbe fatto in modo diverso?

«Sì, ma la soluzione che ho trovato mi lascia comunque soddisfatto». 

La storia a cui si è affezionato di più artisticamente?

«Tutto Mare fuori è stato uscire dalla mia comfort zone. Perché io non amo i prison drama, li trovo claustrofobici. Però leggendo e vedendo Mare fuori ho capito che questa storia presentava tante situazioni di aria e di respiro. Persino troppe. Questo permetteva di rendere, per quanto spesso irrealistica, più sorprendente e imprevedibile la narrazione». 

Che consiglio si sente di dare al regista che la sostituirà?

«Di imprimere una nuova visione in Mare fuori, perché ha bisogno di essere rifondata. Non di ripartire da zero, ma di darle un nuovo inizio, di prendere in mano la serie e farla sua. Io l’ho avvicinata alla mia sensibilità e questo l’ha resa quella che è, nel bene e nel male. L’ho raccontata aggiungendo la mia visione del mondo e delle cose e mi auguro che chi verrà dopo abbia una visione interessante, diversa dalla mia, e che sappia fare lo stesso. Non voglio vedere un’imitazione di quello che ho fatto. Voglio un’altra Mare fuori». 

Come vede il futuro dei protagonisti della serie, lei che li ha conosciuti sul set?

«C’è chi dice che Mare fuori ha generato un nuovo star system, io sono felice di questa affermazione, ma sono più cauto. So che Mare fuori è una grande bolla oltre la quale ci aspettano, me compreso, nuove sfide».

Ivan Silvestrini e l'attrice Pia Lanciotti sul set (foto di Sabrina Cirillo)

E che programmi ha dopo questa esperienza?

«Il mio Mare fuori è sempre stato il cinema, il cinema di genere e di autore. Il mio percorso è stato bizzarro, ho fatto tanti generi diversi, seguendo il mio istinto e i progetti che mi venivano proposti. Ma scrivo film da sempre e ne ho molti nel cassetto. Ho dedicato gli ultimi mesi a scrivere un folk horror partenopeo che spero di riuscire a realizzare presto.

Napoli mi è rimasta nel cuore, in parte lo girerò lì».   

C’è un attore con cui vorrebbe lavorare?

«Grazie a Mare fuori ho scoperto davvero molti talenti con i quali mi piacerebbe formare una specie di compagnia e lavorare a nuovi progetti futuri». 

Tornando a Mare fuori, la serie non è solo carcere minorile, è soprattutto speranza per i giovani che lo abitano. E dentro c’è una sua precisa visione del mondo. Ce la descrive? 

«Io cerco di parlare ai giovani, dobbiamo fare di tutto per contrastare la direzione del mondo che va verso l’autodistruzione, con la spinta dal turbocapitalismo. Dobbiamo conoscere il nostro nemico, che è molto abile a nascondersi e ci abbaglia con tante luci divertenti. Ci fa pensare, ad esempio, che il successo è quello economico. Io credo molto nelle sfere di influenza, cerco di raccontare storie come atto politico e Mare fuori denota la mia visione del mondo progressista». 

Per esempio?

«Si è affrontata la questione omosessuale e l’ho raccontata facendo vedere che il problema non ce l’ha chi è gay, cioè Cucciolo, ma suo fratello, Micciarella, che ha il pregiudizio verso questa cosa e rischia di perdere questo rapporto. Approfondiamo anche l’emancipazione femminile e l’autodeterminazione, come nel caso di Rosa che, nel finale, decide con la sua testa, per quanto al momento sia una scelta che non va nella direzione auspicabile. Ma è comunque un atto di autodeterminazione. Io mi sento responsabile, da narratore e maschio, di un mondo patriarcale che ancora purtroppo ci governa. È importante raccontare la libertà di scelta delle donne, anche se è una scelta verso il lato oscuro». 

Ivan Silvestrini sul set con gli attori (da sinistra) Matteo Paolillo, Antonio Orefice, Giacomo Giorgio e Nicolò Galasso (foto di Sabrina Cirillo)

Lei invece che adolescenza ha vissuto?

«Molto solitaria, ma è un periodo del passato che oggi guardo con grande affetto e nostalgia, perché so che devo tanto a quel dolore, una sofferenza dovuta al fatto che non ho mai scelto l’omologazione, e questo mi ha spesso fatto rimanere solo e perdere degli amici. Ma è lo stesso dolore che ha formato la personalità che ho oggi e, soprattutto, che mi ha reso più sensibile e fantasioso». 

E se ci sono stati degli inciampi, in cosa ha cercato salvezza?

«La musica mi ha salvato la vita da adolescente, mi ha allontanato dai momenti più bui della mia esistenza e ancora oggi fare musica elettronica è un mezzo potente, perché è l’unica cosa nella vita su cui davvero possiamo avere il controllo. Questa è una sensazione molto positiva, sono vibrazioni che ci toccano dentro e ci curano, generando felicità». 

Ivan Silvestrini (foto di Sabrina Cirillo)

Ultimo aggiornamento: Lunedì 4 Marzo 2024, 16:16
© RIPRODUZIONE RISERVATA