“Rino” Rinetti, morto lo scopritore di talenti al Folkstudio. Sergio Caputo: «La nostra vita spericolata tra Roma e Milano»

Tra i suoi molti interessi anche quelli per la fotografia e il cinema. Tra gli altri, lanciò Stefano Rosso e Mimmo Locasciulli di cui fu anche produttore

Addio a “Rino” Rinetti, scopritore di talenti al Folkstudio. Sergio Caputo: «La nostra vita spericolata tra Roma e Milano»

di Totò Rizzo

In realtà il soprannome Rino era una derivazione del cognome o del nome e cognome combinati insieme, chissà chi l’aveva tirato fuori per primo: Riccardo Rinetti, all’anagrafe, nato a Cassine, il paese in provincia di Alessandria dov’era nato anche Luigi Tenco. E chissà che questo non fosse già un presagio. Perché “Rino” Rinetti s’è occupato di musica e di cantautori per gran parte della sua vita che si è chiusa ieri, dopo una malattia che l’ha consumato negli ultimi anni, pianto sui social da tanti amici, primo fra tutti Sergio Caputo che ha condiviso con lui parte del suo percorso artistico, una di quelle amicizie che magari a un certo punto si perdono e poi si ritrovano, sbiadiscono e poi rinnovano i colori dell’intesa, della sodalità.

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“Ciao, Rino”, ha scritto lei ieri su Facebook con una sua foto in un cenno di saluto. Caputo, parliamo di Rinetti.

«Ci conoscevamo dai primi anni ’70. Abbiamo condiviso periodi romani e milanesi. A Roma lui si occupava della programmazione dei giovani talenti al Folkstudio, le mitiche domeniche pomeriggio in cui avevano il via libera artisti che erano stati scovati per la capitale o in altre parti d’Italia e salivano su quel palco per farsi conoscere, nella speranza di essere ascoltati da qualche discografico».

Chi aveva scovato Rinetti?

«Stefano Rosso, anzitutto, e poi Mimmo Locasciulli di cui è stato per anni il produttore, Roberto Gatto, mago delle bacchette e tutta una serie di personaggi oggi scomparsi ma che promettevano bene. Tutti rigorosamente considerati outsider dalla discografia di allora».

La vostra amicizia.

«Ci sono stati periodi in cui eravamo inseparabili. Entrambi snob, controcorrente, anti-estabilishment, notti alcoliche e libertine. Eravamo una strana coppia, lui altissimo, affascinante, bello, io piccolo e soltanto belloccio. Spesso ci siamo cacciati in  qualche guaio convinti come eravamo che il mondo fosse nostro, senza aver paura di nulla e di nessuno. Abbiamo condiviso case, amori e perfino un’auto e una Vespa. La musica c’era ma era un po’ ai margini di questa “vita spericolata” anche se accadde che io diventai  famoso come artista - praticamente da un giorno all’altro -  pur lavorando in una grande azienda pubblicitaria internazionale. A Roma nacque una cricca: io, Rino, Gregory e Roberta “Spicchio di Luna”, Giulia Palmer, insieme quasi tutte le notti. È stata intensa anche la nostra “vida loca” milanese, negli anni ’80.

Milano era tentacolare. Rino non era una persona facile e nemmeno io lo ero, abbiamo litigato più volte, per anni non ci siamo parlati, poi io andai in America e lui restò a vivere a Milano».

Un legame così forte da restare immortalato in una canzone, “Io e Rino”, contenuta proprio nell’album “Un sabato italiano”

«Era una storia tipo "Attenti a quei due" con addosso il bagaglio culturale, le disillusioni e la voglia di tornare a vivere dopo i difficili anni '70.   Voglia di poter uscire la sera, ascoltare musica, bere qualcosa di buono, rapportarsi con le donne, diciamo un mondo più gioioso e positivo».

Quando si sono incrociate nuovamente le vostre vite?

«Dieci anni fa, per i trent’anni di “Un sabato italiano”: quando decisi di scrivere le memorie di quel periodo, lo contattai per chiedergli se potevo raccontare di noi senza censure e lui fu subito d’accordo. Così come accettò di far parte del video celebrativo della canzone, lui che tra i suoi multiformi talenti aveva anche quello di una grande dimestichezza col mondo della fotografia e del cinema. E non va dimenticato che ha pure scritto uno dei più bei libri mai pubblicati su Lucio Dalla. Non aveva mai perso la sua rude schiettezza e, nonostante la malattia, anche negli anni in cui ci siamo ritrovati non ci siamo risparmiati reciproche asprezze. Ma c’era, al di là di ogni divergenza, la sensazione di essere legati per l’eternità».

Vi eravate sentiti di recente?

«Gli avevo parlato dello show per i 40 anni di “Un sabato italiano” e mi aveva detto  che gli avrebbe fatto piacere essere in teatro (la “data zero” domani sera al Teatro Govi di Genova, ndr.).  Purtroppo, non ha fatto in tempo».

Lo ricorderà in teatro.

«Questo è certo.  Non potrò andare a salutarlo per l’ultima volta a Cassine, dove mercoledì si svolgeranno i funerali e dove sarà sepolto. Ma lo celebrerò sul palcoscenico e spero che il mio abbraccio ideale avvolga anche sua moglie Alessandra e Rocco e Pablo, i figli che adorava».


Ultimo aggiornamento: Martedì 11 Aprile 2023, 07:53
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