Giorgia: «Ecco Blu1, dentro c'è un'altra generazione di artisti. I miei rimpianti? La laurea e il matrimonio mancati»

Giorgia: «Ecco Blu1, dentro c'è un'altra generazione di artisti. I miei rimpianti? La laurea e il matrimonio mancati»

di Rita Vecchio

«Maurizio Costanzo è stato tra i primi a credere in me. Ero poco più che ventenne, fu dopo il mio primo Sanremo, e l'ospitata nel suo show è stata una delle mie primissime apparizioni». Il ricordo di Giorgia, reduce dall'ultimo Festival, per il giornalista scomparso tre giorni fa, corre indietro ai primi anni ‘90. In quel lasso di tempo in cui il viaggio artistico della cantautrice romana classe 1971, arriva a oggi con una voce soul che riempie un repertorio non etichettatile, capace di mettersi audacemente in gioco. Come nell'album appena uscito, Blu1 (dove il numero fa intuire che ci sarà un'altra pubblicazione di inediti), e che anticipa il tour nei teatri. 

Perché il titolo e perché l’immagine vitruviana? 

«Cercavo una parolina che racchiudesse l’idea di uno sguardo verso il cielo, nella voglia di cercare risposte oltre la razionalità. Il blu è colore della femminilità, della spiritualità, della meditazione. La copertina con la foto di una Giorgia vitruviana ne racchiude il concetto. L'idea è stata di Maria Grazia Chiuri (direttrice creativa di Dior, ndr)». 

Cielo e terra: c’è una dedica ad Alex Baroni? 

«Fa parte del mio vissuto, gli ho dedicato tante canzoni e una parte della mia vita è andata via con lui. Ma in questo disco c’è dell’altro che va oltre». 

Armonie e collaborazioni insolite, quali muri ha dovuto abbattere per scavare nel coraggio di osare?

«Mi definisco musicalmente schizofrenica, non ho mai lavorato a senso unico. In Blu, con la produzione di Big Fish, mi sono rifatta all’ r ’n ‘b dei miei inizi, l'urban dei nostri giorni. Mi ero ripromessa di non seguire le mode ma l’ispirazione, di divertirmi con generi e canzoni, spaziando dal reggae al sample del rap italiano storico (vedi Ogni chance che hai, l'omaggio a Joe Cassano), fino alle ballad più contemporanee (Se), rimanendo onesta con il mio pubblico. Ci ho messo tempo, ma è stato necessario perché la musica nel frattempo è cambiata. C’è una nuova generazione di artisti. E io ho dovuto capire quale fosse il mio spazio in questo nuovo scenario, rimettendomi completamente in gioco». 

Hip pop, trip pop, pop blues e via dicendo. Giorgia, lei che ha spaziato in questi anni tra sonorità e generi, non pensa ci sia oggi un’esagerazione nel volere incasellare a tutti i costi la musica? 

«Sì, è troppo. Ma se ci pensiamo bene, lo facciamo in tutti i campi, compreso quello sessuale. Fin dagli inizi del ‘900, le influenze musicali si incrociano ed è da altri generi che puoi ricevere stimoli. La categorizzazione che si fa è eccessiva. Il concerto in cui ho imparato di più sul pop è stato di classica, in cui Montserrat Caballé cantava su arie di Rossini. Ho la passione di ascoltare musiche diverse. Passione che avrei avuto anche se non avessi fatto questo lavoro». 

Immagino quindi che abbia trovato fuori luogo le polemiche su Paolo Conte alla Scala. O sbaglio?

«Non sbaglia. Lui fa arte e musica, artista con la lettera maiuscola e il teatro classico gli si addice anche senza canto lirico. L’Italia è la culla dell’opera e dell’operetta, sì. Ma si deve avere rispetto di un grande come lui». 

“Vite diverse come i destini/poi tutti uguali nei casini”. Il verso di Senza confine è di un’attualità impressionante in cui c'è il tema dei migranti e della situazione ambientale.

«E’ stato scritto da Elisa con cui, allineate su temi importanti, divido varie battaglie. E’ la fotografia di quello che viviamo. Trovo giusto che gli artisti siano calati nel loro tempo, prendere una posizione è richiesto dalla propria coscienza. Alla fine del brano ho inserito io tutte le divinità della natura e ho scoperto che sono tutte femminili. Mi sono esaltata». 

Francesca Michielin in una recente intervista, commentando la cinquina tutta maschile del podio sanremese, ha detto che siamo ancora lontani dalla parità e che forse, a parità di canzoni, c’è «un po’ di misoginia nel votare più i maschi che le femmine». 

«E’ bello che una cantautrice giovane come lei ne parli. Non so se nel voto dell'ultimo Festival c'è stato questo. Dei passi avanti ci sono stati, negli anni ’90 era peggio. Allora, quando entravo in uno studio di registrazione dovevo guadagnarmi la fiducia del fonico e del produttore. Oggi la donna musicista è anche una donna che suona e produce. Non è che prima non ce ne fossero. Io, Elisa, Carmen Consoli.

E prima ancora da Patty Pravo a Loredana Bertè. Ma siamo costrette a confrontarci perennemente con una mentalità sedimentata da millenni. La chiave è parlare alla nuova generazione dei maschi in modo diverso». 

Che pensa dei monologhi del Festival dedicati alle donne? 

«Ritagliare uno spazio al femminile è giusto. Ma dovremmo iniziare a parlare meno e a fare di più. Il mio momento con Elisa, oltre che musicalmente bello, è stato un esempio di come ci possa essere cooperazione femminile dove non c’è invidia e competizione». 

Al di là degli orientamenti politici, è stata contenta dell’elezione di Giorgia Meloni come prima presidente del consiglio donna?

«In questo particolare momento in cui si parla di parità, meritocrazia e misoginia, lo trovo importante. Mi auguro faccia un buon lavoro visto che il nome Giorgia è una garanzia (scherza, ndr). Come grandi donne in politica ricordo Nilde Iotti, di cui nutrivo grande stima». 

Mahmood, Dardust, Gemitaiz, Francesca Michielin, Ghemon, Sissi, sono solo alcuni. Come è stato lavorare con loro?

«E' stata aria nuova. Non sempre succede di sentirsi arricchiti. Misurarmi in Normale con una scrittura attualissima, ha significato rimettermi a studiare, imparare». 

Che significa essere normale?

«Per me normale dovrebbe essere la libertà e il vivi e lascia vivere. Oggi ci stiamo abituando a vedere come normale delle cose che non sono, come la guerra o la violenza. Normale è vedere qualcosa o qualcuno come non diverso. Ero andata a chiederlo in giro, nella zona del Gasometro a Roma, con il video diretto da Rocco Papaleo».

Cantando Meccaniche Celesti, quali sono i suoi “sogni bucati come palloncini”?

«Ce ne sono tanti (sorride, ndr). Volevo fare l’insegnante di letteratura straniera, ma ho il grande rimpianto di non essermi laureata, come se mi sentissi in difetto. Avrei voluto suonare il pianoforte bene. E mi sarei voluta sposare». 

Si sente in difetto anche su questo?

«No, non tanto. Mi sentivo più a disagio quando mi chiedevano se avrei fatto un figlio. Prima di Samuel ho avuto due aborti, e sentir ripertere la domanda mi ha fatto soffire. Dopo che è nato, hanno ricominciato a chiedermi quando avrei fatto l'altro. E’ un inconscio collettivo che ti assale, misto di retaggio culturale. Una donna deve essere libera di fare la sua vita come vuole. Non è tollerabile sentire che non sei donna se non hai figli».

Da madre di un adolescente, che pensa delle critiche alla troppa fluidità sul palco dell'Ariston per Rosa Chemical scatenato?

«Lui lo trovo molto intelligente e il resto l'ho visto come uno spettacolo. Le cose vanno conosciute e spiegate. La prima regola è parlare con i ragazzi. Da demonizzare è la violenza, non il bacio». 

Nelle nove tracce di Blu emerge il disegno di una donna forte. E' vero?

«Devo esserlo, ma dentro ho fragilità imbarazzanti. La cosa che mi rende forte è affrontarle».

Un esempio? 

«L’essere tornata a Sanremo dopo 30 anni portando il fardello delle aspettative e il peso di non deludere. Sentivo una pressione allucinante. Ma fa parte della crescita personale, il senso della vita è cambiare. E’ stato quindi un atto di coraggio (ride, ndr).

 

Ultimo aggiornamento: Martedì 28 Febbraio 2023, 20:55
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