Piero della Francesca, svelati i segreti del genio del Rinascimento tra angeli, colori e pentimenti

Una mostra al Museo Poldi Pezzoli di Milano riunisce le otto tavole del Polittico Agostiniano del 1469: indagini diagnostiche rivelano tecniche e sorprese

Piero della Francesca, svelati i segreti del genio del Rinascimento tra angeli, colori e pentimenti

di Laura Larcan

La lucentezza metallica dell’armatura del San Michele Arcangelo, il broccato d’oro del Sant’Agostino, la ruvidezza quasi palpabile del saio del saio del San Nicola da Tolentino. La cura dei dettagli è impressionante, la minuziosa definizione dei tessuti e i bagliori dei gioielli. Ma non solo. Visti da vicino, vicinissimo, i capolavori di Piero della Francesca rivelano tanto di lui. Informazioni del tutto inedite sul sommo pittore toscano del Quattrocento, padre del Rinascimento, maestro di originalità creativa, appassionata indagine delle regole prospettiche, e di luminosità dei colori. L’occasione è unica, la offre la mostra Piero della Francesca. Il polittico agostiniano riunito, che il Museo Poldi Pezzoli di Milano inaugura dal 20 marzo al 24 giugno 2024 (con il sostegno della Fondazione Bracco e Intesa Sanpaolo) mettendo a segno un traguardo fino ad oggi solo vagheggiato virtualmente.

Le otto tavole sopravvissute del polittico realizzato dal grande artista nel 1469 (dopo quindici anni di lavoro complessivo) sono riunite per la prima volta nella sua storia, dopo 555 anni dalla sua realizzazione. L’opera venne concepita per l’altare maggiore della chiesa degli agostiniani a Borgo San Sepolcro (la sua terra aretina), ma subì un triste destino, smembrata e dispersa alla fine del ‘Cinquecento. Tutto è partito, allora, dal pannello raffigurante San Nicola da Tolentino, di proprietà del Museo Poldi Pezzoli.

I PRESTITI

A questo si ricongiungono ora i pannelli superstiti grazie alla sinergia internazionale con le altre istituzioni: la Frick Collection di New York (San Giovanni Evangelista, la Crocifissione, Santa Monica e San Leonardo), il Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona (Sant’Agostino), la National Gallery di Londra (San Michele Arcangelo) e la National Gallery of Art di Washington (Sant’Apollonia). Alla mostra ideata da Alessandra Quarto, e curata da Machtelt Brüggen Israëls e Nathaniel Silver, sono state abbinate anche le fondamentali indagini diagnostica per immagini ad alta risoluzione, sostenute dalla Fondazione Bracco.

LE SCOPERTE

E i risultati sono straordinari. La diagnostica per immagini sul “San Nicola da Tolentino” è stata realizzata in situ dal team di ricercatori dell’Università di Milano, dello spinoff IUSS Pavia DeepTrace Technologies con la collaborazione del Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale, coordinato dalla professoressa Isabella Castiglioni. Il risultato? «Ha permesso di ripercorrere le tecniche di lavoro del pittore e i materiali utilizzati dal pittore», spiga Castiglioni. «Condotte attraverso immagini ad alta risoluzione nell’ultravioletto, vicino infrarosso, radiazione X e analisi di microscopia e spettroscopia puntuale, le indagini hanno permesso di scendere fino agli strati più profondi, portando alla luce più di un segreto. Primo fra tutti, il fatto che Piero della Francesca non ebbe a disposizione delle tavole apposite, ma dovette dipingere su una carpenteria medievale, ricavandone un capolavoro».

LE SORPRESE

Piero della Francesca, dunque, dipinse su una sola tavola di legno di pioppo, che fu anche assottigliata. Non era una tavola vergine, originale, predisposta fin dall’origine per l’opera, ma di riciclo, di carpenteria medievale. Utilizzò il cartone preparatorio, tracciò il disegno con un pennello e un inchiostro nero carbonioso, e si concesse cancellature. Alcuni dettagli, come le unghie, sono definiti con una matita nera, e alcune dita svelano pentimenti.

E il gioco delle linee tracciate con cura definiscono la bocca e gli occhi. E i colori. Piero della Francesca dosa incredibili miscele organiche e minerali. Strati sovrapposti di blu oltremare e un pigmento a base di rame, presumibilmente azzurrite, per l’azzurro del cielo.

LE NOVITA'

Come racconta Machtelt Brüggen Israëls, ecco le principali 5 sorprese: «L’olio alla fiamminga. Si è detto spesso che Piero, maestro di luce, si sia ispirato ai pittori d’impronta fiamminga. Ristudiando i vari campioni prelevati in passato dai pannelli del polittico, abbiamo scoperto l’uso quasi esclusivo di olio come legante e abbiamo visto che, appunto come i fiamminghi, egli applicava delle velature semitrasparenti in modo sottilissimo e ricercatissimo, che gli consentì fra l’altro di creare la prospettiva atmosferica del cielo e gli effetti del cristallo di rocca del pastorale di Sant’Agostino, delle pietre preziose luccicanti sulla lorica di San Michele...».

Le Ali Angelicate. «Lungo i bordi dei pannelli che nel polittico stavano accanto al perduto scomparto mediano, ci sono degli elementi della sua composizione. Con l’uso dello stereomicroscopio abbiamo scoperto le ali, rosa e blu, di due angeli spandendosi dal centro e andando ad affiorare le figure di San Michele e San Giovanni Evangelista. Sono state cancellate dopo lo smembramento del polittico, che fece del San Michele e del San Giovanni Evangelista dei pannelli indipendenti, nei quali quelle ali isolate non avrebbero avuto senso. Ma ne rimangono dei frammenti minuscoli!»

L'incoronazione della Vergine. «Fra gli elementi rimasti della composizione centrale lungo i bordi dei pannelli che l’affiancarono nel polittico, il lembo di un manto di un velluto broccato cremisi foderato di ermellino, dalla massima ricchezza, nonché i gradini di porfido, pietra dall’assonanza regale, fanno intuire che al centro molto largo del polittico ci stava non una Madonna con Bambino, ma un’Incoronazione con la Vergine inginocchiata ai piedi del figlio per ricevere la corona, non dissimile alle figure di tali composizioni di Filippo Lippi, artista fiorentino con cui Piero collaborò, mentre l’invenzione di Piero stesso fu d’ispirazione alla grande Pala di Pesaro di Giovanni Bellini».

Il riutilizzo. «In pieno Rinascimento Piero si trovò costretto a riadoperare una struttura di un polittico di foggia trecentesca; questi i patti del contratto del 1454. Confrontando il modo in cui Piero approntò i vari elementi dell’opera alla pittura, abbiamo scoperto che nella predella e nei pilastri, il maestro ha steso il suo gesso preparatorio al di sopra di una preparazione preesistente, spiegando lo stato di conservazione di questi pannelli, ma soprattutto dandoci la prova tecnica del raro fatto del riutilizzo di un’antica struttura noto dai documenti».

La solennità spaziale. «Nei pannelli grandi, invece, Piero raschiò la preparazione antica e eliminò elementi divisori quali colonnette e modanature, pianificando le architetture e le figure per esteso, anche dove sapeva che poi li avrebbe coperti, ottenendo così quella straordinaria e solenne unitarietà di spazio in cui mise i suoi santi in un ritmo pacato come di una polifonia sacra».


Ultimo aggiornamento: Martedì 19 Marzo 2024, 13:55
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