Coronavirus, l'allarme sui test sierologici: «Non danno patenti di immunità e si rischia un vero e proprio business»

Coronavirus, l'allarme sui test sierologici: «Non danno patenti di immunità e si rischia un vero e proprio business»
Se i tamponi diagnostici sono stati i grandi protagonisti della fase 1 dell'emergenza coronavirus, nella fase 2 a spadroneggiare saranno senza dubbio i test sierologici. Proprio ieri, infatti, 150mila kit sono giunti in alcuni laboratori scelti a campione da Istat e Inail per cercare di capire quanti italiani abbiano contratto e superato l'infezione. Eppure, non mancano i dubbi sulla loro affidabilità né altri interrogativi di diversa natura.

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Alcune regioni italiane hanno già acquistato un totale di 4 milioni di test sierologici. Di fronte a tanti dubbi, sembra esserci una sola certezza: chi produce e vende questo tipo di esami potrà fare ottimi affari, visto che i test sierologici possono costare dai 4 ai 7 euro per le regioni e dai 25 ai 50 euro per i privati cittadini. Per comprendere quanto complesso sia il tema dei test sierologici, occorre innanzitutto stabilire le differenze con i tamponi. Il test del tampone, infatti, serve per stabilire se una persona ha il virus in un determinato momento e si basa sulla ricerca dell'RNA nelle cellule e nelle secrezioni di naso o gola (muco o saliva). I test sierologici, invece, si effettuano sul sangue e servono a capire se una persona ha fabbricato anticorpi contro il virus dopo esserne venuta a contatto. I tipi di anticorpi sono due: le Immunoglobine M (IgM, le prime ad essere prodotte dopo l'infezione) e le Immungolbone G (IgG, che vengono prodotte solo diverso tempo dopo l'infezione).

Come spiega La Repubblica, ben 72 aziende hanno partecipato al bando del commissario straordinario Domenico Arcuri per l'acquisto dei 150mila test sierologici da effettuare a livello nazionale: ha vinto la multinazionale farmaceutica Abbott, che ha deciso di regalare i test e annunciato di averne a disposizione altri quattro milioni, ma a pagamento. A livello regionale, invece, la Lombardia comprerà 500mila test dalla Diasorin (che li ha sviluppati insieme al San Matteo di Pavia), la Toscana ne comprerà altri 500mila dalla Diesse (un'azienda di Siena), l'Emilia-Romagna e il Lazio ne acquisteranno 300mila e la Campania 350mila. Il mercato è ampio, ma viene da chiedersi: si punterà alla qualità dei test o alla possibilità di guadagnare il più possibile?

È quello che si chiede anche un esperto come Giuseppe Cardillo, chimico e biologo molecolare della Federico II di Napoli. Se a vari livelli della politica i test sierologici vengono presentati come la panacea di tutti i mali, il dottor Cardillo lancia l'allarme: «La loro efficacia è tutta da vedere, specialmente per quanto riguarda col test rapido, che utilizza una singola goccia di sangue tramite una puntura sull'indice e permette di avere risultati nel giro di un quarto d'ora. Il Sars-CoV-2, prima di stimolare la risposta immunitaria, impiega qualche giorno e le IgM compaiono solo dopo una settimana. Se lo contraggo e faccio il test prima del tempo, risulterà negativo. Se invece ho solo le IgM sono sicuramente ancora contagioso. La procedura minima è fare il test e ripeterlo dopo una decina di giorni. Da recenti studi abbiamo scoperto che tutti i contagiati producono anticorpi di tipo IgG, che si formano dopo 15 giorni. Il test positivo, però, non spiega quando sia effettivamente avvenuto il contagio: potrebbe risalire a due settimane come a due mesi prima». Rispetto al test rapido, quello classico, basato sul prelievo di sangue e con risultati dopo qualche giorno, offre indubbiamente maggiori garanzie, anche se non a livello assoluto.

Il Sars-CoV-2, poi, ha una strana particolarità: oltre ad una percentuale di asintomatici intorno all'85%, a differenza di altri virus, stimola la produzione di IgG prima di quella di IgM. «vQuesto avviene perché probabilmente il sistema immunitario "si ricorda" del coronavirus che normalmente provoca le sindromi para-influenzali. C'è poi il problema della localizzazione: il virus, allo stadio iniziale della malattia, si trova nel cavo orofaringeo e poi si sposta nei polmoni. Posso essere malato ed avere il tampone negativo: può succedere che il virus si annidi nei bronchi, senza manifestarsi» - spiega ancora Giuseppe Cardillo, riportato anche da Next Quotidiano - «Una delle idee proposte, e forse la più sicura dal punto di vista diagnostico, è quella di utilizzare il tampone rettale, poiché le persone espellono il virus anche 40 giorni dopo la guarigione. Non dimentichiamo, poi, che il test sierologico può avere difetti di fabbricazione e quindi conseguenti errori diagnostici. C'è poi il problema della privacy: come farà il laboratorio a comunicare alla ASL di appartenenza l'identità di una persona positiva?».
Il dottor Cardillo ha poi aggiunto: «I test sierologici, da soli, non possono dare 'patenti di immunità'. L'unico scopo dei test è quello di identificare la grande maggioranza dei soggetti asintomatici o pauci-sintomatici».

Intanto, in vista delle graduali riaperture, ci si organizza con la corsa ai test sierologici. In Piemonte ci sono già laboratori che li vendono a cittadini privati, mentre nel Lazio saranno effettuati a operatori sanitari, ospiti e dipendenti delle Rsa, forze dell'ordine e farmacisti. Situazione analoga si avrà anche in altre regioni, dove le aziende che vogliono far rientrare i dipendenti al lavoro si accorderanno con i laboratori. In una situazione complicata e di diffusa incertezza, vale tenere a mente il monito dell'Associazione Italiana di Epidemiologia: «Non ci sono evidenze di affidabilità di questi test per i 'certificati di immunità' perché non è chiaro neanche quali tipi di anticorpi vengano individuati né tantomeno la loro capacità di proteggere dall'infezione virale». Si preannunciano anche battaglie legali da parte di quelle aziende scartate dalle gare nazionali e locali, la fase 2 si arricchisce di molti altri capitoli e paragrafi.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 6 Maggio 2020, 11:04
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