Coronavirus, ci si può contagiare due volte?
di Mauro Evangelisti
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SEUL
Andiamo per ordine e torniamo alle notizie arrivate nei giorni scorsi dalla Corea del Sud e rilanciate prima dalla stampa asiatica, poi da quella del resto del mondo: 163 pazienti, risultati in un primo momento guariti, sono tornati ad essere positivi. Secondo il Centro sudcoreano per il controllo e la prevenzione delle malattie (Kcdc), questa anomalia riguarda il 2,1 per cento dei casi. Il vice direttore di Kcdc, Kwon Joon-wook, dice anche che i pazienti che si sono riammalati non sembrano essere contagiosi. Il professor Claudio Maria Mastroianni, professore ordinario Malattie Infettive all’Università La Sapienza di Roma, frena: «Escludo che siamo di fronte a casi di reinfezione.
Dobbiamo pensare ad altro: il virus probabilmente era presente in quantità talmente bassa che non è risultato al tampone. Per questo i pazienti che vengono ricoverati una seconda volta eliminano il virus dopo pochissimi giorni. Il tampone ha una sensibilità del 60-70 per cento: dunque potevano essere falsi negativi o con una carica virale molto bassa. Ma ad oggi non c’è una evidenza scientifica che possa fare pensare a una reinfezione. I pazienti con due tamponi negativi, a distanza di 24 ore l’uno dall’altro, possono essere considerati guariti». Chi guarisce, solitamente sviluppa gli anticorpi che garantiscono l’immunità, anche se ad oggi non è possibile sapere con certezza quanto dura questa condizione. «Sarà importante lo screening che si vuole avviare con i test sierologici - ricorda il professor Mastroianni - per capire quale fetta della popolazione sia venuta a contatto con il virus. Ma sia chiaro, in parallelo, si deve continuare anche l’esecuzione dei tamponi che hanno un reale valore diagnostico».
In un servizio sul caso coreano, la Cnn ha ricordato che per situazioni analoghe rilevate in Cina, uno dei più importanti esperti in malattie respiratorie, Zhong Nanshan, ha affermato «che una persona guarita può essere positiva perché frammenti della malattia sono rimasti nel suo corpo. Non sono troppo preoccupato per questo problema».
MARATONA
C’è però l’altro nodo: pazienti che restano positivi più del previsto, anche per cinque o sei settimane. Il professor Mastroianni osserva: «Questo è possibile. Stiamo imparando a conoscere questo virus: vi sono persone che lo eliminano nel giro di una o due settimane, altre in cui persiste più a lungo. Dovremo capire se dipende dalla caratteristica del virus - ma non credo - o se invece conta la risposta del paziente. I soggetti che non negativizzano il virus andranno studiati. Quelle che sarà importante, con le nuove metodiche molecolari, sarà quantificare il virus stesso, vedere se questa presenza ha una bassa carica e che effetti può determinare. Di solito, sono persone che stanno bene e l’effetto sul fisico è minimo, però dobbiamo capire se, con una carica virale estremamente bassa, anche la possibilità di trasmettere il virus è altrettanto bassa. Pensiamo sia così, ma in questa fase non possiamo esserne certi».
Ultimo aggiornamento: Domenica 19 Aprile 2020, 14:35
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