No alla violenza sulle donne: l'urlo delle scuole pugliesi in memoria di Giulia

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Un minuto di silenzio (e in alcuni casi di rumore) in tutte le scuole di Puglia, ma non solo, per ricordare Giulia, la ragazza barbaramente uccisa dal fidanzato a pochi giorni dalla laurea.

L'invito del ministro dell'Istruzione, Giuseppe Valditara, a rispettare la memoria della giovane studentessa veneta uccisa dall'ex fidanzato, è stata un'occasione, questa mattina alle 11, per riflettere sul problema dei rapporti tra i sessi, sulla estrema vulnerabilità di uomini, in questo caso un ragazzo, incapaci di gestire la propria sfera emotiva.

Le scuole pugliesi hanno accolto anche l'appello della sorella della ragazza a far rumore, come accaduto ieri in Università a Padova, dove la ragazza di sarebbe dovuta laureare. Da Lecce a Bari, passando per Brindisi e Taranto, tutte le classi hanno trovato un momento per riflettere con gli insegnanti oppure per gridare la loro indignazione nei confronti di cui usa violenza alle donne.

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In Senato la legge contro la violenza


Domani intanto arriverà al Senato la legge che rafforza le misure contro gli uomini violenti dopo aver avuto, a settembre, il via libera della Camera. Il dibattito si concentra sulla scuola, in un luogo deputato all'educazione, in cui i docenti dovrebbero porre l'accento su quanto sia importante l'assimilazione del rispetto e delle regole per le generazioni più giovani. L'idea del ministro è quella di avviare un processo che metta al centro la cosiddetta "educazione sentimentale" attraverso un'ora settimanale nelle scuole superiori.

 


Gli incontri, che dureranno tre mesi e per un totale di dodici sessioni, coinvolgeranno gli studenti in discussioni di gruppo, guidati da un docente come moderatore. Saranno previsti interventi di psicologi, avvocati, assistenti sociali e organizzazioni contro la violenza di genere oltre alla presenza di influencer, cantanti e attori, per rendere l'iniziativa più vicina al mondo giovanile.

I dirigenti

Un compito però, secondo i dirigenti, che non può essere assolto in maniera esaustiva dagli insegnanti che sono comunque chiamati ad altri impegni. Insomma, il fine è nobile ma la burocratizzazione rischia di creare scompensi: «Noi facciamo tanto su questo argomento - spiega Alieta Sciolti, dirigente scolastica dell'Istituto superiore Trinchese di Martano in provincia di Lecce - Per il 25 stiamo già organizzando una giornata con tanti ospiti.

La scuola può fare molto per cambiare una mentalità patriarcale. In questo campo specifico credo però che un ruolo fondamentale lo svolga la famiglia: un ragazzo che frequenta un percorso di studi è agghiacciante che arrivi a certe azioni. Detto ciò, le trenta ore diventano difficili da inserire nel sistema. Noi dobbiamo dare ai ragazzi le competenze necessarie per affrontare il percorso accademico. Il cambiamento culturale deve avvenire anche coinvolgendo tutte le agenzie educative. Insomma, va bene inserire nella scuola questi percorsi ma incasellarli in ore, burocrazia e piattaforme diventa complicatissimo».


Per Anna Grazia De Marzo, preside del "Marconi Hack di Bari", «da sempre la scuola è in prima linea ma non nella formazione di maschi o femmine. È in prima linea nella formazione delle persone - osserva -, persone che devono imparare il rispetto degli altri, a considerare le aspirazioni, i sentimenti, i sogni degli altri, perché se non sei capace di appassionarti, è chiaro che non puoi capire i sogni e le passioni degli altri e di conseguenza si assume un atteggiamento di rifiuto, di chiusura». Il rapporto sempre più complicato con le famiglie non aiuta.


«C'è bisogno di un'educazione alla genitorialità e forse la scuola dovrebbe far partire dei corsi rivolti ai padri e alle madri - suggerisce -, perché quello che era considerato acquisito, cioè il rispetto dell'altro non c'è più. Insegnare a gestire le emozioni positive e quelle negative, un passaggio che si è perso anche per colpa dei messaggi che i medi veicolano». Roberto Romito, presidente dell'Associazione nazionale presidi, apre alla possibilità che le scuole siano protagoniste del cambiamento. «C'è da capire come farlo al meglio, come aiutare i docenti a lavorare bene, con cognizione di causa e con una formazione adeguata - sottolinea - Una formazione che deve prevedere per i docenti, al di là delle pur necessarie conoscenze disciplinari rispetto alla materia insegnata, la possibilità di disporre di competenze affettive nel rapporto con gli alunni, che vanno educati a rispettare le differenze e a saper gestire le inevitabili frustrazioni personali».

 
La sinergia con le famiglie deve essere però effettiva, senza ingerenze. «La scuola si trova sempre più frequentemente a sopperire ai limiti di un numero crescente di famiglie che, in questa società sempre più complessa, non riescono a fornire un'educazione al passo coi tempi - precisa Romito -. E inoltre i genitori tendono ad assumere un comportamento contrastivo con la scuola, giustificando comportamenti degli studenti che vanno ben oltre i limiti consentiti. Non è facendo gli avvocati difensori d'ufficio dei propri figli che si contribuisce alla loro educazione. Si sta manifestando un'eccessiva invadenza dei genitori sulle scelte della scuola, anche sulle valutazioni da attribuire agli alunni. A nostro avviso andrebbe rivisto l'attuale modello di partecipazione dei genitori alla vita scolastica».


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 22 Novembre 2023, 07:42
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