Pensioni, via prima con il prestito delle banche e il Tfr in garanzia

In pensione prima con il prestito delle banche e il Tfr in garanzia

di Michele Di Branco
In pensione anticipata pagando quel che manca dei contributi con un prestito della banca e mettendo il Tfr in garanzia. E’ questa una delle ipotesi sulla quale il governo, alle prese con il dossier della flessibilità in uscita, sta riflettendo. Il lavoratore comincerebbe ad incassare da subito un assegno ridotto per poi restituire quanto avuto in prestito a partire dal giorno in cui diventa un pensionato, con assegno finalmente pieno, a tutti gli effetti. E in questo schema nel quale le banche sarebbero copertissime (il Tfr maturato, tra l’altro, rientra tra i beni ereditabili) un ruolo di primo piano lo avrebbe anche lo Stato, pronto ad intervenire con sgravi fiscali sugli interessi per agevolare l’uscita dal lavoro di categorie sociali a reddito medio-basso.

Vale a dire quelle che, per effetto di alcune storture della riforma Fornero, spesso restano intrappolate in ufficio o in fabbrica senza potersene andare. Vale infatti la pena ricordare che poter andare in pensione anticipata, la pensione lorda mensile non può essere inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale, oggi pari a 448 euro. Dunque almeno 1.250 euro. Per ottenere invece l’assegno di vecchiaia, la previsione di pensione deve invece essere moltiplicata per una volta e mezzo quell’assegno: 670 euro. Insomma il governo, punta a risolvere la pratica della flessibilità in uscita con la formula del prestito previdenziale facendo intervenire i privati. E a favorire il turn over in azienda. 
 
I DETTAGLI
L’intervento pubblico pieno, lo ha ricordato due giorni fa il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Nannicini, costa 5-7 miliardi: un impegno economico che Palazzo Chigi non può permettersi tanto più alla luce di quanto si legge nel Def dove all’espressione «flessibilità nelle scelte individuali», viene associato il prudente «nel quadro della sostenibilità finanziaria». Sul Tfr, peraltro, ruotano molti dei progetti sull’asse Tesoro-Lavoro. Allo studio ci sarebbe il maggiore utilizzo del Trattamento di fine rapporto per far finalmente decollare la previdenza integrativa.

Meno del 30% degli occupati è iscritto a un fondo pensione integrativo e si ragiona su cosa fare per allargare questa platea. Una delle ipotesi è dare la possibilità di iscriversi ai fondi versando solo una parte del Tfr maturando ma si ragiona anche sulla possibilità di rendere obbligatorio il versamento del Tfr alla previdenza complementare. La discussione è solo agli inizi ma dovrà tenere conto del fatto che imprese e sindacati sono contrari: è chiaro infatti che il venir meno del Tfr nelle aziende potrebbe creare problemi di liquidità. Sempre vivo lo schema del pensionamento anticipato con un taglio dell’assegno di circa il 3-4% per ogni anno di anticipo. L’ipotesi sarebbe però non solo costosa per il lavoratore ma anche per lo Stato che deve pagare più pensioni nel breve periodo per poi recuperare nel lungo periodo grazie all’erogazione di assegni più bassi nel tempo.

Intanto non si placano le polemiche dopo l’allarme lanciato da Tito Boeri sulla generazione anni ’80 e sulle sue prospettive di pensionamento ritardato intorno ai 75 anni. «Proporre in questo modo la questione è irragionevole, rischia di sembrare un annuncio e non una criticità da affrontare» ha protestato Susanna Camusso. «Inoltre - ha aggiunto il segretario Cgil - rischia di passare un messaggio pericoloso di sfiducia ai giovani con molti che reagiscono dicendo: allora non pago più i contributi». Nella riforma della previdenza si dovrà tenere conto anche delle differenze che esistono tra i lavori. Lo ha suggerito il segretario della Cisl Annamaria Furlan sottolineando come esistano «differenze tra il lavoro impiegatizio e quello in fonderia».
 
Ultimo aggiornamento: Giovedì 21 Aprile 2016, 08:27
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