Renzi e Franceschini - «Ragazzi, mi conoscete o no?». Matteo Renzi è euforia pura. Stargli dietro è un'impresa, mentre attraversa a grandi falcate il Transatlantico del Senato. Trattiene a stento un sorriso sornione, trentadue denti. O almeno ci prova.
Il leader di Italia Viva è in sollucchero per il centrodestra di governo che traballa di fronte al primo banco di prova: l'elezione di Ignazio La Russa per il più alto scranno di Palazzo Madama e l'ira funesta di Forza Italia, tagliata fuori.
«Presidente, dica la verità: lo avete votato voi». «Noi? Adesso le spiego una cosa - Renzi afferra un braccio e riparte il peripatetico - se io orchestrassi un'operazione del genere, la rivendicherei. Di più: andrei all'incasso». Magari ci va, all'incasso. «No, io non c'entro nulla, questa è una resa dei conti tutta interna al centrodestra». Sarà, ma tutti puntano il dito contro una sola persona. «Può essere stato chiunque. Non scherziamo: non ci si cappotta per sbaglio. Io, Letta e Gentiloni siamo durati per cinque anni di legislatura. E poi io non sono uno bravo a fare questo tipo di calcoli. Non sono, per dire, un Franceschini».
Il nome dell'ex ministro della Cultura, plenipotenzario Pd, irrompe a sorpresa. Ci sarà lui dietro il blitz che ha blindato con il favore delle tenebre (dei catafalchi) il candidato di FdI? Indaghiamo. «Diciamo solo che Dario è un ragazzo intelligente», si schermisce Renzi. Riecco il sorriso, beffardo.
Eppure con Dario ci ha parlato e scherzato in mattinata. In conclave con Stefano Patuanelli, ex ministro e prima fila del M5S. «Con loro abbiamo discusso delle vicepresidenze di Camera e Senato - spiega l'ex premier - che, per la cronaca, non c'entrano nulla con questo voto. Perché, anche volendo una contropartita - e non è questo il caso, abbiamo votato tutti scheda bianca - non avrebbe avuto senso. Sulle vicepresidenze sono le opposizioni a decidere». E che avete deciso? «Sono sei posti. Io ho avuto l'impressione che volessero dividerli in tre e tre, Pd e Cinque Stelle. E ho detto no, non ci stiamo. Una dovete darla a noi. La vera partita, qui, si giocherà per la guida del Copasir». Sarà, ma il giallo della carica dei venti franchi tiratori, al Senato, non ha ancora una soluzione. E tutti, o quasi, sospettano la pattuglia di Renzi e Calenda.
Cinque sono tanti, a giudicare dall'esordio. Non sarà un po' troppo ottimista? «Ma no, dureranno e possono ringraziare San Enrico Letta», sogghigna Renzi. È il suo punching ball preferito, il segretario uscente del Pd. Poteva mancare una stoccata? Certo che no. «Ha scelto di tagliare fuori me e Calenda e adesso si vede il risultato».
Renzi inizia a contare, un dito alla volta. «Prato, Roma, Livorno, basta fare i conti. Se avesse fatto un accordo con noi avrebbe vinto altri 7,8 collegi uninominali, forse di più. E oggi La Russa non sarebbe presidente del Senato». Senatore, non sarà sempre colpa di Letta? «Lo so che non mi credete, ma la sua folle strategia sulle alleanze è una delle cause. E poi, ripeto, fate i conti. I nostri voti - che non abbiamo dato - non sarebbero comunque bastati. Un sì è arrivato anche da Pd e M5S. Ma non lo sapremo mai».
Passa Calenda, sembra provato, abbraccia l'alleato. «Mi aspettavo la Curia Hostilia, e invece...». Il Renzi show riparte, è il più cercato tra i corridoi di Palazzo Madama. Alla buvette si dà di gomito con due colleghi ripensando ad Andrea Crisanti, «il virologo a cui è stata appesa una nazione», che ha faticato a «trovare la fessura» nel catafalco. Con Licia Ronzulli, gran protagonista del terremoto nel centrodestra, batti-cinque e risate. «A proposito, non vedo il tuo capo da sette anni. Quando me lo fai incontrare?».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 14 Ottobre 2022, 12:48
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