«Fine pena mai, anche per le vittime»
«La Procura ha chiesto la condanna all'ergastolo perché ha ritenuto provato il reato di epidemia, oltre al falso e alle lesioni gravissime».
Si parla quindi di ergastolo?
«Sì: fine pena mai. Purtroppo non solo per lui ma anche per le vittime, condannate a terapie mediche e controlli a vita, con tutte le conseguenze del caso».
Che cosa stanno vivendo queste donne?
«Una violenza. Quell'uomo ha fatto loro violenza con un guanto di velluto tra i petali delle rose con cui le corteggiava. Si tratta di violenza e non a caso due associazioni in difesa delle donne, Differenza Donna e Bon't worry, si sono costituite parte civile al processo».
Le vittime si fidavano di lui, vero?
«Certo, avevano riposto in quell'uomo amore e fiducia. Si trattava di relazioni vere e proprie, fatte di corteggiamenti e scatole di cioccolatini portati anche ai genitori. Ora dovranno essere assistite sul piano fisico, per tutto ciò che la sieropositività comporta, ma anche sul piano psichico e sociale».
Un dramma senza fine?
«Stanno affrontando con coraggio il processo della loro vita. Un processo dall'enorme impatto emotivo».
Come è iniziata questa storia?
«Con una denuncia a cui hanno fatto seguito le testimonianze delle altre vittime. Così hanno ottenuto l'arresto sia dell'imputato sia dei suoi contagi. E questo è un aspetto fondamentale».
Di che portata è stata l'epidemia?
«Ben 34 i contagi provati, per capire meglio di che cosa stiamo parlando basti sapere che il risarcimento contestato è di 900mila euro per ognuna delle vittime. Si tratta di un danno da quasi 34 milioni di euro. A questa cifra sommiamo la spesa dello Stato per le cure a vita per queste donne».
Come si sono accorte di essere sieropositive?
«Alcune erano donatrici di sangue. Lo hanno scoperto così: donando». (L. Loi.)
Ultimo aggiornamento: Giovedì 19 Ottobre 2017, 05:00