Anna, insegna il sesso ai disabili: «In Italia trattata da prostituta»

Michela Poi
«Sì, sono una love giver e mi dedico a chi ne ha bisogno. Ma non sono una prostituta». Ci tiene a precisarlo Anna Pierobon, 34 anni, una delle prime operatrici all'emotività, affettività e sessualità per disabili (O.E.A.S) in Italia. Una laurea in filosofia e una passione smodata per le foto, ha iniziato senza paura il suo percorso da assistente sessuale, andando dritta contro tabù e pregiudizi.
Come si è avvicinata al mondo dell'assistenza sessuale?
«Ho la fortuna di avere una formazione laica e un buon rapporto con la sessualità. E poi, tutto parte da un presupposto semplice: tutti dobbiamo impegnarci in qualcosa che vada oltre noi stessi».
E lei ha scelto di diventare un'Oeas. Che cosa significa?
«Significa prendersi cura di persone con disabilità (fisica, psichica o cognitiva) e guidarle nella gestione della propria sessualità, con lo scopo di renderle indipendenti nell'ambito sessuale».
Nella pratica, come?
«Ogni percorso è diverso e personalizzato. In ogni caso si tratta di educazione alla masturbazione. Sempre allo scopo di rendere autonoma la persona. Ovviamente esistono dei limiti precisi: nessun tipo di rapporto fisico né orale, né baci, per intenderci».
Spesso si pensa che siano solo uomini ad aver bisogno di questo tipo di assistenza.
«È molto triste che ancora vengano fatte queste distinzioni. L'esigenza è assolutamente alla pari, tanto che negli anni le richieste da parte di donne sono cresciute».
E i pregiudizi verso la sua professione, ci sono?
«Tanti. Soprattutto da chi non vive e non conosce il problema. Spesso chi ha una disabilità viene percepito come asessuato, o si pensa che la sua salute sessuale non importi. E questo è un tema ancora poco conosciuto e quindi facilmente travisabile».
In che senso?
«Molti confondono l'assistenza sessuale con la prostituzione, ad esempio. Il mio intervento è educativo e di supporto, non una prestazione sessuale».
E le critiche?
«Le offese gratuite non mi fanno effetto. Soprattutto se chi parla si nasconde dietro un computer. A fare i leoni da tastiera siamo buoni tutti. La verità è che se il problema non tocca direttamente te è facile parlare, le sofferenze altrui spesso ci colpiscono giusto i 60 secondi di uno spot pietistico che passa in televisione».
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Ultimo aggiornamento: Lunedì 22 Luglio 2019, 05:01
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