«Il tempo, in alcune culture, ha uno spessore e una profondità diverse da quelle che ha in altre. Se vai a Mosca o a San Pietroburgo ti rendi conto che nei russi è ancora viva la memoria della Seconda guerra mondiale, addirittura dell’invasione napoleonica. Il romanzo nazionale russo è Guerra e Pace». Germano Dottori, consigliere scientifico di Limes, legge le parole di Zar Putin con l’occhio dell’analista, ossia del russo. In fondo, per capire il discorso alla nazione di Vladimir Vladimirovič si deve uscire dalla prospettiva storica e temporale di noi occidentali, anzi di noi europei dell’Ovest. «Il discorso di Putin aveva toni balcanici. La sua platea non era il mondo, erano la Russia e l’Ucraina. Il che significa che gli spazi per mediare con Mosca si riducono drasticamente, perché la storia non si negozia, tanto meno con gli stranieri».
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La rivendicazione
Ecco perché ciò che è apparso dal Cremlino, agli occhi di un parigino, un londinese, un berlinese, un romano, come un anacronismo che sa di muffa antiquaria, è invece, nella patria di Putin, la lucida e convincente rivendicazione di una dimensione imperiale che appartiene all’anima russa, alla sua nostalgia. E sì, la guerra si può fare anche per il gas, ma quella che si fa per nostalgia, in nome della storia, è la più resistente. Ce lo insegnano i dieci anni di guerra nella ex Jugoslavia. Anche per Sergio Romano, storico ed ex ambasciatore a Mosca, Putin «è un restauratore, il suo obiettivo è quello di restituire al suo Paese quella autorevolezza che aveva conquistato dopo il ’45. È un nazionalista e un patriota. Il suo è un grande Paese consapevole d’aver perduto lo status che aveva meritatamente conquistato, perché la Seconda guerra mondiale era stata un’operazione di grande rilievo e grandi perdite. La bandiera dietro Putin, durante il discorso, era quella della Russia zarista». In più, vale a Mosca una interpretazione quasi sacrale del potere del capo, che incarna lo Stato e la nazione. «Noi occidentali – dice lo storico Franco Cardini – ci siamo abituati a un super potere invisibile in cui la politica è prassi delle élite». Altrove, prevale un’altra idea. «La Russia ha attraversato una lunga fase di rapporto profondo, bizantino, sacrale tra il potere regale e quello sacerdotale, noi una altrettanto lunga secolarizzazione del potere». La stessa Unione Sovietica «non si era allontanata dai vecchi schemi, se si guardano i solenni funerali del Maresciallo Stalin».
Il Potere russo, quello di Putin e degli Zar, travalica la sfera materiale, «è meta-storico e meta-naturale». È di fronte a questa immagine di un Potere antico e assoluto, nel quale Putin invita a riconoscersi tutti i russi (compresi quelli dell’Ucraina), che la platea occidentale si è trovata spiazzata e forse priva degli strumenti per comprendere.
L’irritazione dei russi
E davanti al ritrovato orgoglio imperiale di Putin che in Ucraina si gioca il futuro politico più che in Siria o Libia, o Georgia e Kazakistan, c’è da chiedersi come si pongono Europa e Usa. «La mossa nel Donbass – spiega Dottori – dimostra l’irritazione dei russi per non esser stati presi sul serio finora, e la volontà di testare la solidità e coesione interna di Ucraina e Nato». Ritirando i consiglieri militari e spostando l’Ambasciata, gli Stati Uniti sembrano già aver abbandonato. «Un giorno capiremo perché». Una Storia ancora da scrivere.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 24 Febbraio 2022, 09:54
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