«Su quel gommone eravamo in 120, 10 donne, di cui una incinta, e anche un bambino di due mesi - dicono - sono morti tutti davanti ai nostri occhi, dispersi in mare mentre il gommone imbarcava acqua». Quello che stupisce è la freddezza con cui parlano delle interminabili ore trascorse sul gommone - almeno 11 - con il pericolo di perdere la vita ogni momento. «Preferiamo rischiare la morte che tornare in Libia», raccontano mentre nei loro occhi scorrono le immagini dei drammatici momenti delle violenze, degli abusi, degli stupri prima di imbarcarsi alla volta del Vecchio Continente.
«A chi riesce a eludere i blocchi e a partire - sottolineano - non interessa affatto la possibilità di morire».
Gran parte dei migranti che erano sul gommone, raccontano, erano sudanesi. «In quaranta venivano da lì - spiegano -, gli altri dall'Africa occidentale». Nessuno di loro indossava giubbotti di salvataggio. «Da anni - ribadiscono i soccorritori - non vengono forniti. Chi riesce li compra, gli altri, per lo più africani, restano senza». Ora, a Lampedusa, i ragazzi provano a ripartire, presi in cura dai medici che costantemente ne tengono sotto controllo le loro condizioni di salute. Oggi sono migliorati ed è stato scongiurato il ricovero in ospedale.
Ultimo aggiornamento: Sabato 19 Gennaio 2019, 19:24
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