Se la primavera è il mese della rinascita, quella di Kiev ha una valenza ancora più forte. La capitale ucraina si trova a vivere una «nuova normalità», come la definiscono gli abitanti rientrati in città dopo i mesi passati a vivere da rifugiati a seguito dell’assedio russo. Le vie del centro ora sono ogni giorno più frenetiche, anche se le criticità restano. La più grossa: la carenza di carburante. Eppure c’è chi ha trovato il modo di adattarsi come l’officina di biciclette, con annessa caffetteria, “Lifecycle” del 39enne Oleksii Khvorostenko. «Appena è cominciata la guerra è sembrato subito chiaro che ci sarebbe stata una crisi di carburante. Ed eccola qua», dice dal suo divano di pelle tra copertoni e chiavi inglesi. «Da tempo avevamo investito nella produzione di cargo-bike per consegnare pacchi. Senza benzina sono un grande vantaggio». Gli affari per lui andavano bene da tempo. «Negli ultimi anni a Kiev c’è stato un boom della bicicletta, da quando con la pandemia era venuto meno il trasporto pubblico. La comunità di ciclisti è esplosa», racconta. La saracinesca non l’ha mai abbassata nemmeno quando i primi razzi colpivano la periferia. «Eravamo pronti a lavorare in qualsiasi condizione». Lui e il suo team hanno cominciato a spedire beni umanitari pedalando nella città spettrale. Oleksii si è allontanato dalla sua officina solo per alcuni giorni per portare la propria famiglia in salvo al confine con la Polonia dove si trova tutt’ora. Una volta rientrato, il lavoro si è fatto più intenso. «Lavoriamo tutti i giorni dalla mattina alle 21, compresi i weekend».
IN CUCINA
Il quartiere in cui si trova, Podil, è diventato di tendenza. Qui il 28enne Mirali Dilbazi ha scelto di aprire un ristorante che porta il suo nome. L’avvio è stato un travaglio. Nel febbraio del 2020 stava progettando gli interni con il suo designer quando il Covid ha fermato tutto. Nell’autunno dell’anno scorso l’apertura è stata un successo con i tavoli prenotati per settimane, ma l’avvio delle ostilità da parte di Mosca ha comportato la seconda battuta d’arresto. «Già da prima le cose erano peggiorate – racconta lo chef -. La gente iniziava a capire che la guerra sarebbe arrivata». Come moltissimi ucraini, lui e il suo team hanno sentito da subito l’urgenza di darsi da fare e così hanno iniziato a cucinare i pasti per i soldati sparsi nelle postazioni della città. «Ne preparavamo fino a 500 al giorno con i prodotti che riuscivamo a reperire».
Il 16 maggio la seconda rinascita. «Non siamo ancora tornati ai livelli pre-guerra, ma le cose migliorano di giorno in giorno. – afferma Mirali -.
La guerra è stata una batosta per chi ha come clienti le aziende, come l’agenzia di comunicazione Angry. A portarla avanti c’è una squadra di giovani creativi che si sono trasferiti a Leopoli il secondo giorno di guerra. Dopo due mesi hanno però deciso che era tempo di tornare a casa. «La nostra routine è cambiata – spiega Dasha Andriushchenko -. Non andiamo più in ufficio perché è al decimo piano e non è sicuro». Il suo riferimento è al rischio missili. I progetti commerciali sono carenti, perché le aziende si sono trasferite altrove. «Siamo in una situazione di instabilità», ammette. «Tutto è congelato. I primi mesi di guerra abbiamo svolto solo progetti di volontariato: campagne informative per spiegare cosa succedeva a Kiev e per provare a cambiare la mentalità del popolo russo. Ma non ha funzionato, così ci siamo dedicati a progetti culturali». Hanno cioè iniziato a lavorare con artisti internazionali che al momento hanno più disponibilità economiche.
FUTURO
Il loro ufficio è diventato un cafè nel quartiere della Porta d’oro. La loro voglia di lavorare è grande, pari a quella di adattarsi alla nuova normalità della capitale di un Paese che è ancora in guerra. Per la co-fondatrice dell’agenzia, Inna Polshyna, nata a Mosca e trasferitasi a Kiev, sarà importante anche in futuro dare un contributo con il proprio lavoro per «controbilanciare la propaganda russa». Ciò che ha in mente è un progetto comunicativo che miri a spiegare l’identità ucraina e la sua storia. «La Russia è un regno di bugie – dichiara netta -. Noi siamo un Paese sovrano. Vogliamo tutti vincere questa guerra e la vinceremo». È Inna a dare il senso di questa nuova esistenza cittadina. «La nostra vita non è normale, siamo entrati in un’altra dimensione. Siamo in un equilibrio di guerra». Raccontarlo e farlo capire alla gente di tutto il mondo, dice, farà parte della loro missione informativa.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 1 Giugno 2022, 11:29
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