Beppe Carletti: «Vi racconto i Nomadi e il rap»

Beppe Carletti: «Vi racconto i Nomadi e il rap»

di Paola Pastorini
Beppe Carletti, padre fondatore dei Nomadi con Augusto Daolio, c'era bisogno di un altro libro su di voi?
«Dopo 55 anni volevo fare il punto. Avevo bisogno di raccontare i 30 anni con Augusto e i 26 dopo di lui. Di come siamo partiti da un paesino della profonda pianura padana e qui siamo sempre rimasti».
Qualcuno ha accusato i Nomadi di aver cambiato più cantanti di mutande...
«I Nomadi sono una tribù: si sono avvicendati 23 musicisti. Nessuno è stato cacciato: sono state scelte naturali. Nessun litigio».
Sono tanti 55 anni di musica.
«Se siamo ancora qui è perché abbiamo ancora qualcosa da dire. La nostra musica si è evoluta mantenendo la barra dritta, non si è snaturata. Negli anni 80 non facevamo disco, oggi non facciamo rap».
I giovani ascoltano solo rap però.
«Non fa parte della nostra cultura. Più che musica mi sembra un modo di comunicare. Credo che la musica vada cantata e suonata, ma non giudico. Conosco Fedez, J-Ax, Ghali».
Il rap ha testi spesso duri, malinconici.
«Non è un momento facile. Per questo crediamo si debba dare speranza e i nostri concerti sono come un enorme raduno di famiglia: vogliamo che la gente vada a casa col sorriso sulle labbra».
Mai pensato di smettere per limiti di età?
«No, la gente ci ama e abbiamo qualcosa da dire».
Meglio ascoltare un vostro concerto o leggere il suo libro?
«Venire al concerto col libro sotto braccio».
Ultimo aggiornamento: Martedì 25 Settembre 2018, 09:23
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