Giangilberto Monti: «Milano non sa più osare, le idee nascono altrove»

Giangilberto Monti: «Milano non sa più osare, le idee nascono altrove»

Giangilberto Monti non è tipo da cifra tonda: troppo banale, e poi un artista vero va a cercare la scomodità, le irregolarità e tutto ciò che potrebbe assomigliare a un pezzetto di gesso mal spezzato sulla lavagna. Ecco perché il cantautore milanese festeggia con un album antologico dal titolo Tempi strani (Sony Music) i suoi quarantaquattro anni di carriera a sessantanove anni non ancora compiuti. Unica concessione al numero tondo, i dieci brani scelti per raccontare il suo viaggio in musica, passato per tappe fatte di dischi (diciassette), collaborazioni (con Dario Fo, Mia Martini, Mauro Pagani) e un solo simbolico timone interiore: «Fare quello che mi piaceva». Lo fa anche oggi. Dove? Naturalmente qui, a Milano.


Sono Tempi strani, davvero. Come li sta vivendo?
«Male, come tutti. Questo è un periodo sospeso, carico di incognite. Fui tra i primi a dire che stavamo vivendo una sorta di dopoguerra, simile a quello della Milano negli anni post 1945. Lo scrissi in rete e mi attaccarono. Ma non ho esagerato».


Dunque, bazzica i social?
«Me la cavo. Sono pur sempre un laureato in ingegneria. Nel lockdown 2020 ho messo in rete la canzone Maison Milano, registrata col cellulare. Ho avuto centomila visualizzazioni che per me, cantautore di nicchia, è come suonare allo stadio Maracanà».


Ecco, Milano: come la vede oggi?
«Oggi come da un po' di tempo: resta la città che amo ma devo ammettere che non mi appare più la Milano che osava. Oggi è più una vetrina di ciò che viene sperimentato altrove».


Quale Milano rimpiange?
«Quella dalla fine anni '70 fino a metà anni 90: dal palco dello Zelig Cabaret ai salotti degli amici, alle collaborazioni musicali: le idee sembravano tutte realizzabili».


Qualche esempio?.
«Il Derby negli anni d'oro, i concerti nei locali sui Navigli, buona parte dei quali scomparsi.

Un giorno allo Zelig ero in camerino con l'amico Antonio Albanese, stava abbozzando il personaggio di Alex Drastico, e se ne salta fuori dicendo: ora esco e lo faccio in pubblico».


Ha dei personali luoghi di fuga?
«Metà della mia famiglia risiede a Torino, una città che mi piace e dove, guarda caso, ci sono ancora locali dove suonare dal vivo. Poi amo scrivere sul lago d'Iseo. Laggiù trovo pace e un po' di vita di provincia. Ma Milano resta la mia casa».


Qual è la sua zona del cuore?
«Ne dico almeno due. In Corvetto sono cresciuto e ho mosso i primi passi musicali: in viale Lucania i mitici Giganti avevano una sala prove in un circolo Acli e per la prima volta, avevo sedici anni, suonai il basso in una band. E poi Città Studi: gli anni dell'università, la libertà».


Milano tornerà a suonare?
«Spero prima possibile. Io dovrei farlo tra maggio e giugno, se si potrà, al Teatro Munari in via Imbonati».
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Ultimo aggiornamento: Giovedì 15 Aprile 2021, 14:17
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