Infermiera Lugo, dall'ergastolo all'assoluzione: ecco le motivazioni della sentenza

Infermiera Lugo, dall'ergastolo all'assoluzione: ecco le motivazioni della sentenza
Dall'ergastolo all'assoluzione. «È una sentenza molto perentoria. Se qualcuno poteva pensare, prima di leggere le motivazioni, che i giudici della Corte d'Appello avessero prosciolto Daniela Poggiali per un dubbio ragionevole, si sbagliava, perché si è ottenuta la certezza dell'innocenza». Lo dice all'AdnKronos, l'avvocato Lorenzo Valgimigli, legale di Daniela Poggiali, commentando le motivazioni, appena depositate della sentenza con la quale nel luglio scorso la Corte d'Assise d'Appello di Bologna ha assolto l'infermiera per la morte della 78enne Rosa Calderoni deceduta l'8 aprile 2014 a poche ore dal ricovero all'ospedale 'Umberto I' di Lugo, annullando l'ergastolo inflitto in primo grado e restituendo clamorosamente alla 44enne la libertà. L'accusa nei suoi confronti era di avere ucciso la paziente con un'iniezione letale di potassio. I giudici hanno escluso definitivamente il potassio come causa di morte della signora Calderoni, eliminando le certezze sul metodo scientifico che aveva consentito di determinare le concentrazioni del letale farmaco nei bulbi oculari della defunta. È stato eliminato, come reperto di prova utile, anche il deflussore sequestrato dai rifiuti ospedalieri che recava tracce di potassio. Per Rosa Calderoli, invece, una possibile causa di morte naturale, probabilmente uno «scompenso glicemico». «È una sentenza che proscioglie definitivamente Daniela Poggiali  - sottolinea l'avvocato Valgimigli - perché si è ottenuta la certezza dell'innocenza dell'imputata e non per un dubbio ragionevole. È un ribaltamento processuale di 360 gradi e la sentenza non dà adito a dubbi»  «È stata raggiunta la certezza - prosegue il difensore - che il potassio non c'entra niente con questa storia. La perizia è arrivata a delle conclusioni molto chiare su punti fondamentali».

 «Certezza scientifica sugli aspetti medico-legali - spiega Valgimiglia - e certezza anche logica a proposito del deflussore. L'accusa sosteneva che appartenesse alla signora Calderoni. Questo sulla base di ricerche fai da te, perché l'indagine non l'ha fatta la polizia scientifica o il Ris ma l'hanno fatta i funzionari della Ausl, condizionati dai pettegolezzi e dalle dicerie che un contagio collettivo incredibile ha creato, nell'ambiente di lavoro, sull'immagine e la personalità di Daniela Poggiali. In più, colui che era chiamato a fare le indagini e repertare quel deflussore era il cugino di uno dei pazienti morti». «Il deflussore - spiega l'avvocato - aveva una concentrazione di potassio compatibile con le cure che aveva fatto Maria Sangiorgi, una paziente morta due giorni prima della signora Calderoli che faceva una cura di potassemia, perché aveva il potassio bassissimo e dovevano infonderglielo. Una signora morta di morte naturale e curata dall'ospedale e anche dalla mia assistita».

I giudici, nelle motivazioni della sentenza, pur  descrivendo Daniela Poggiali come «persona per certi versi disturbata, capace di condotte riprovevoli o di mentire, ma nel contempo scaltra e pronta» hanno però scandito che  «la sua innocenza è di gran lunga l'ipotesi più aderente ai fatti accertati nei due gradi di giudizio». Ora bisognerà vedere se l'accusa ricorrerà in Cassazione. «Per noi - commenta l'avvocato - è una sentenza scritta nel marmo di una logica indistruttibile, poi uno può ricorrere contro tutto. È la migliore a cui noi, come difesa, potessimo ambire perché dà conto del fatto che c'è la prova, senza dubbi, che la mia assistita non ha ucciso. È un'assoluzione perché ci sono delle certezze non dei dubbi e questo capita di rado». 
Ultimo aggiornamento: Sabato 2 Settembre 2017, 12:30
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