Premio Strega post pandemia, il Covid che per una sera sembra solo un racconto

Premio Strega post pandemia, il Covid che per una sera sembra solo un racconto

di Marco Mottolese

Roma è cupa stasera, dopo giorni di caldo esagerato, nuvole, sprazzi di pioggia, spuntano in cielo colori che non inducono alla fantasia. In città, sul tardi, c’è un evento importante, si assegna il Premio Strega, premio letterario per eccellenza, ambizione di chiunque scrive, mira di ogni editore. Il premio è legato al nome di un liquore ma alla fine la rilevanza della aggiudicazione, negli anni, ha superato la notorietà dell’etichetta stessa, tanto che a volte immagino qualcuno che al bar chiede uno Strega e viene guardato con sospetto…

Chi vince deve sorseggiarlo sotto i riflettori direttamente dalla bottiglia, come fosse questo il modo migliore per rendere lo scrittore testimonial a vita, come se quel sorso fosse un patto di sangue con chi ti ha premiato. E’ uno “Strega” post pandemico, ha il suo significato: finalmente si potrà nuovamente penetrare le porte del Ninfeo di Villa Giulia e nel dopo premio, a notte già inoltrata, si apriranno le terrazze romane agli scrittori, gli editori, gli amici, la setta di chi di legge e scrive, una comunità piccola ma non certo minore che in questo giorno finisce sotto i riflettori, non a caso la Rai segue il premio in diretta. Mi preparo ad uscire, non posso non dare una occhiata a quello che succede stasera, non penso che negli occhi di chi vince e di chi perde, di chi segue l’evento per interesse o per curiosità, non ci sia traccia alcuna di quello che è successo; chissà quanti romanzi, quante storie appariranno nei prossimi tempi recando in pancia la pandemia, il lockdown e tutto quello che il virus ha inoculato dentro di noi.

Il Covid, attraverso il filtro di chi narra per mestiere, si farà racconto collettivo, sarà questa la maniera migliore per storicizzarlo: come sempre, dopo le cose immani, tocca a chi scrive fotografare quello che non si vede . Non c’è occasione migliore per osservare il cuore di un evento che fa sentire il libro, e dunque chi lo inventa, strumento determinante per comprendere la realtà. Tra chi deve essere premiato c’è anche un amico, chissà che stasera non lo riesca ad abbracciare (abbracciare…questa parola, ogni volta che la scrivo - se la pronuncio meno - incute ormai timore) e dirgli “grazie”. Grazie di impegnarti a scrivere cose belle, a darci materia di ragionamento, a farci meditare anche se magari non lo vorremmo neanche, perché meditare incute timore.

Per essere certo dei tempi accendo la diretta TV, fa un certo effetto vedere gli scrittori sapendo che più tardi si materializzeranno in qualche terrazza. Pochi ospiti al Ninfeo, è pur sempre periodo post-covid, la Cucciari conduce sdrammatizzando, so che qualcuno storcerà il naso. Ma per accorciare le distanze tra lettori e libri tutto va bene, anche il sarcasmo e l’ironia. Via via la lavagna con i voti si riempie, si capisce che vince Trevi, mi preparo, è ora di andare.

Uscendo di casa dimentico la mascherina, ormai questo uso a singhiozzo (fuori no, dentro sì) ci sta trasformando in tanti rapinatori dilettanti che solo poco prima di accedere alla banca da svuotare nascondono il volto, inoltre, ma questo lo avevamo previsto, anche se non è più necessario vedo che tantissimi passanti continuano a indossarla oppure a sistemarla in quella modalità, sotto il mento, come fosse un (brutto) accessorio di moda. Roma, in vespa, è ancora più bella (ma questo ce lo ha già raccontato anni fa Nanni Moretti) e arrivare sulla meravigliosa Terrazza Borromini è un attimo, l’aria è più fresca, come sempre caput mundi la notte si trasforma; ci sono città che sembrano nate per mostrarsi al meglio quando è buio , Roma è una di queste, la notte non solo ti affascina, diciamo che stasera ti…strega . E infatti sulla terrazza è come stare sdraiati sulla storia; piazza Navona, le cupole del Borromini, San Pietro, lentamente giro su me stesso ed è facile stordirsi di bellezza. Arrivano i primi ospiti reduci dal Ninfeo, è tutto così composto e tranquillo che sembra di essere ad una festa privata a casa di un fortunato ospite con magica terrazza. E in parte è così. Saluto chi conosco, sicuramente l’atmosfera è da “happy few”, non per dire “io c’ero” ma solo per dirsi “io ci sono”. Poi, anticipato da applausi contenuti, eleganti, sbuca dalle scale Emanuele Trevi, il premiato, scortato da due che lo Strega lo hanno già portato a casa, Niccolò Ammaniti e Francesco Piccolo, come per dirgli “benvenuto nel club”.

Trevi sfodera un sorriso sereno, non era una sorpresa che potesse vincere, ma la tranquillità deriva anche dalla sua dimensione di intellettuale che attraversa il mondo come se non lo fosse. Chi lo conosce, e lo legge, sa che Trevi è scrittore alto e basso, attraversa il basso per portarlo in alto e farcelo godere attraverso i suoi occhi, le sue parole. Le sue cronache. “Due vite” di Neri Pozza, forse non è il classico romanzo da premio, ma ogni pagina di Trevi scandaglia la mente - sua e degli altri – il genere di Trevi è contemplare la qualità. E’ notte fonda, si va via; pregusto il rientro su due ruote, più è notte fonda più girare per Roma è una avventura indimenticabile, questo lo ricordo sin dai tempi del liceo. “Ciao Emanuele, hai fatto vincere un po’ anche noi, i tuoi sostenitori!”. Lo abbraccio, sì, si può. Ha lo sguardo felice e compassato, per chi scrive come lui non sarà certo il Premio per eccellenza a fargli cambiare carattere e atteggiamento. Un ultimo affaccio sulla bellezza, che in questo caso non vedo “grande” ma solo unica. Gli scrittori, quelli veri, hanno questo magico potere che permette loro di filtrare le emozioni e farle emergere dopo una elaborazione che le smussa, le rende fruibili, pronte ad essere fissate sulla pagina bianca perché altri ne facciano buon uso. Stasera, almeno qui, la pandemia sembra solo materia da racconto.


Ultimo aggiornamento: Sabato 10 Luglio 2021, 14:13
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