«Ucciso con un pugno al cuore»
La ricostruzione delle ong russe

La fonte citata dal Times: un omicidio nello stile del Kgb. E la madre denuncia lo Stato

«Ucciso con un pugno al cuore» La ricostruzione delle ong russe

di Giammarco Oberto

Non ci sarebbe alcuna “sindrome da morte improvvisa”, come sostengono le autorità russe - dietro il decesso di Alexei Navalny nel colonia penale siberiana IK-3. E neppure, come aveva invece denunciato la vedova Yulia Navalnaya, un avvelenamento con l’agente nervino Novichok. Ci sarebbero invece agenti in carne e ossa, uomini di un’unità top secret dell’Fsb, il Servizio per la sicurezza della Federazione Russa, ovvero l’erede del Kgb sovietico, di cui anche Putin aveva fatto parte prima del crollo dell’Urss. Un’unità che sarebbe stata inviata dal Cremlino in Siberia apposta per eliminare l’oppositore numero uno dello zar. E che per farlo sarebbe ricorsa proprio a un metodo tipico degli assassini del Kgb: un pugno dritto al cuore.

Ad avanzare la nuova ricostruzione sulle cause della morte di Navalny è stato Vladimir Osechkin, fondatore del gruppo per i diritti umani Gulagu.net, che ne ha parlato al quotidiano britannico Times. Secondo Osechkin, che ha citato una fonte che lavora nella prigione IK-3, i lividi trovati sul petto del dissidente sono compatibili con la tecnica del cosiddetto "pugno unico" già usato dai sicari del Kgb. Un colpo violento inferto su Navalny dopo averlo fatto “passeggiare” per più di due ore e mezza all'aperto, dove la temperatura si aggira sui -27 gradi. Con quel gelo i vasi sanguigni si restringono e la pressione sanguigna aumenta. E un unico violento colpo al petto ferma il cuore. Un omicidio su commissione, quindi.

Il governo britannico di Rishi Sunak ha annunciato da parte sua di aver imposto sanzioni su sei funzionari russi additati come presunti responsabili della morte di Navalny. Si tratta, secondo quanto ha precisato il Foreign Office, del colonnello della guardia penitenziaria Vadim Kalinin e di cinque suoi vice. Londra, e non solo, chiede inoltre «un'inchiesta trasparente». Ma Putin - che quando Navalny era in vita lo ha sempre e solo definito «un blogger», continua a far finta che la questione non lo riguardi. L’appello della madre di Navalny, Lyudmila, che martedì si è rivolta direttamente a lui implorandolo di farle riavere il copro del figlio, è caduta nel vuoto. E ieri Lyudmila ha formalmente denunciato lo Stato per la mancata restituzione della salma. Il tribunale della città artica di Salekhard esaminerà il caso il 4 marzo. Udienza a porte chiuse. Come tutto, in questa storia.

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Ultimo aggiornamento: Giovedì 22 Febbraio 2024, 06:00