Cristina Cattafesta, bloccata in Turchia: «Sono libera, mi hanno trattata bene». Ma è ancora in stato di fermo

Cristina Cattafesta, bloccata in Turchia: «Sono libera, mi hanno trattata bene». Ma è ancora in stato di fermo
Cristina Cattafesta è tornata libera, ma non del tutto: l'italiana bloccata ieri durante un controllo di polizia nella provincia di Batman, nel sud-est a maggioranza curda della Turchia, resta in stato di fermo nel Paese asiatico, dove era arrivata per svolgere attività di osservazione elettorale per conto dell'Hdp. Cristina ha parlato al telefono con Radio Capital dalla foresteria di un centro di detenzione per stranieri a Batman, dov'è stata trasferita dalle autorità locali: «Sono libera, me la sono cavata con poco: una notte in carcere, dove sono stata trattata benissimo», ha detto Cristina.



«Aspetto la decisione dell'ufficio immigrazione. Mi diranno se verrò espulsa subito oppure se, semplicemente, non potrò rientrare nella regione di Batman», ha raccontato la 62enne di Milano, attivista dell'ong Cisda (Coordinamento italiano di sostegno alle donne afghane), sostenendo che le autorità turche «volevano creare un caso politico dal niente, volevano intimidire eventuali osservatori internazionali».



La vicenda, però, non è ancora chiusa. Dopo l'interrogatorio, le indagini a suo carico sarebbero concluse. Secondo fonti locali, le autorità giudiziarie turche sono orientate a non incriminarla, ma è probabile che Cattafesta venga espulsa dalla Turchia, con divieto di farvi ritorno per un periodo da definire. Restano però incerte le tempistiche. Il completamento delle procedure potrebbe richiedere anche diversi giorni. Il caso, fa sapere intanto la Farnesina, viene seguito «con massima attenzione» dall'ambasciata italiana ad Ankara, in stretto raccordo con la stessa Farnesina e le autorità locali, «per prestare ogni possibile assistenza». 



«Hanno montato un caso per niente: durante un normale controllo di polizia per strada, hanno visto sul mio profilo Facebook una bandiera del Pkk e mi hanno accusato di fare propaganda terroristica - ha raccontato l'attivista in radio - Mi hanno accusato di connessioni con il Pkk.
Gli ho detto che non era vero, e che il fatto di pubblicare foto su Facebook non è un crimine. Li ho sfidati, gli ho chiesto di cercare sulle mail o sul mio cellulare una prova che io abbia un contatto anche lontanissimo con una persona legata al terrorismo. Non sono stati in grado di farlo».

Ultimo aggiornamento: Lunedì 25 Giugno 2018, 22:04
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