Da giorni, da martedì, Mario Draghi sapeva di non essere più in partita. E da giorni aveva dato la sua disponibilità a restare a palazzo Chigi, a condizione che la maggioranza di unità nazionale non uscisse lacerata dalla giostra del Quirinale. Così quando ieri mattina, dopo l’ennesima giornata da incubo di venerdì, ha visto i dispacci di agenzia che facevano prevedere altre ore di ordinaria follia sulla pelle delle istituzioni, il premier ha deciso di scendere in campo per mettere fine alla pericolosa sarabanda.
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Da papabile a mediatore, Draghi sblocca lo stallo
Nel ruolo di king maker. Proprio lui che molti volevano re. Anzi, Presidente. Draghi, da uomo al servizio del Paese, non ha forzato la mano, si è tirato indietro al momento giusto. E si è lanciato nell’impresa di mettere in sicurezza l’Italia, continuando a fare il suo lavoro come ha sempre fatto. Il primo passo del premier, ieri mattina, è stato un incontro di trenta minuti con Sergio Mattarella nel palazzo della Consulta, a margine del giuramento di Filippo Patroni Griffi. Con il capo dello Stato, Draghi ha svolto «un attento esame della situazione». Ha stigmatizzato il «caos fermo».
I CONSIGLI
E avendo preso atto che non si poteva rischiare di sprofondare un altro giorno nel delirio, come dicono fonti di governo, «non ha avuto esitazioni nel consigliare al Presidente di restare» per un altro mandato al Quirinale. Draghi ha incontrato però una forte resistenza di Mattarella a concedere il bis. Il Presidente gli ha detto di considerare il suo eventuale “sì” un grande sacrificio. Però «per la stabilità e per il bene del Paese», ha dato il suo assenso di massima, perché la richiesta di rielezione era arrivata «spontanea dal Parlamento». Che «è sovrano». Nel colloquio Mattarella, deluso dai partiti, ha infine chiesto a Draghi di gestire la partita in prima persona. L’ha esortato a svolgere lui la mediazione con i leader delle forze politiche. Rientrato a palazzo Chigi, Draghi ha cominciato il giro di telefonate. Prima Matteo Salvini, poi Giuseppe Conte e per sicurezza anche Luigi Di Maio, Enrico Letta, Roberto Speranza, Silvio Berlusconi, Matteo Renzi, più i centristi vari. «Con tutti ha avuto telefonate brevi e asciutte».
LA RICHIESTA
Con una sola richiesta, suonata più o meno così: “La situazione che si è creata innesca una dannosa instabilità politica.
LE DUE ISTITUZIONI
Una continuità «salutare», insomma, che rende ancora più palese e conferma «la saldatura tra la Presidenza della Repubblica e la Presidenza del Consiglio». Le due istituzioni che, secondo Draghi, in questa fase tormentata e travagliata con una politica senza bussola, sono il faro per il Paese e per l’opinione pubblica e «lavorano per il bene dell’Italia». E in più si rafforzano, grazie alla rielezione di Mattarella e alla conferma di Draghi, dopo che i partiti hanno mostrato l’assenza di capacità di sintesi. Quanto è costato a Draghi chiamarsi fuori? A palazzo Chigi non indugiano su «questi sentimentalismi». Draghi è uno che «opera e lavora». Tant’è, che già domani il premier vuole celebrare un Consiglio dei ministri. «L’azione di governo è solida, forte. E questo epilogo per il Presidente è un successo», ripete un’alta fonte dell’esecutivo. A giudizio di Draghi, non ci sarà bisogno di alcun rimpasto. «Ora andiamo avanti per il bene del Paese».
Ultimo aggiornamento: Domenica 30 Gennaio 2022, 19:57
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