Daniel Canzian, lo chef: «Basta gusti stranieri, viva la cucina italiana»

Daniel Canzian: «Basta gusti stranieri, viva la cucina italiana»

di Rita Vecchio
Per dieci anni ha cucinato alla corte di Gualtiero Marchesi. Poi apre un ristorante tutto suo nel cuore di Brera che chiama con il suo nome. Per Daniel Canzian, chef patron del ristorante Daniel di Milano, trentotto anni, la cucina «parte dall'intuito».
In che senso?
«L'intuito è un passaggio naturale per poi evolversi e far fare al piatto il salto, aggiungendo la tecnica e la leggerezza».
Di intuito è tutta la cucina italiana?
«Assolutamente sì. L'Italia è la patria del convivio e della famiglia. Legata alle tradizioni e alla cucina della nonna. E dovrebbe puntare di più alla regionalizzazione».
Cioè?
«Il futuro è attualizzare il regionalismo italiano, andando oltre la globalizzazione e non scimmiottando le altre culture. Dovremmo essere più patrioti. Oggi l'italiano va più al ristorante giapponese, che a quello italiano».
Come è la sua cucina?
«Contemporanea, intelligente - cioè non scelgo ingredienti a caso - e stagionale».
Quando ha iniziato?
«Fare il cuoco per me è stato un passaggio scontato. I miei avevano un locale e fin da piccolo stavo più al ristorante che a casa. Per questo ho un rapporto così intimo con il mio ristorante: rappresenta me e voglio una dimensione famigliare per chi viene a trovarmi che non sia fredda e impettita. Voglio che la gente si senta a casa. Ecco perché l'ho chiamato con il mio nome, Daniel».
Chi va a fare la spesa?
«Io. Ho bisogno di camminare in mezzo alla gente. Il mercato va vissuto con il contatto diretto con la materia prima».
Come è arrivato a Gualtiero Marchesi?
«Quando ho scoperto la cucina stellata».
Racconti.
«Quindi non vuoi più cucinare, e hai deciso di fare cucina?. È la frase che il signor Marchesi mi disse la prima volta che andai da lui. Il significato era sottile, ma tradotto significava elevare la cucina ad arte».
E lei cosa rispose?
«Sì, mi sta bene. Lui mi ha dato tutto: l'addestramento al bello, l'importanza del contenitore al pari del contenuto, il suo modo di pensare».
Come lo ricorda?
«Nei miei piatti: il risotto al limone, sugo d'arrosto e liquirizia. Il minestrone con verdure croccanti».
Che cuoco si sente?
«Vicino alla gente. Questo lavoro è diventato mediatico, cioè lontano dalle persone. Il cuoco deve essere comprensibile e non irraggiungibile. Non siamo mostri sacri e a vincere è e sarà sempre la convivialità».

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Ultimo aggiornamento: Domenica 31 Marzo 2019, 21:30
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