Il bar sotto casa e i saluti: il ritratto di un uomo comune

Il bar sotto casa e i saluti: il ritratto di un uomo comune

di Ernesto De Franceschi
Ha voluto essere il primo anche nel giorno dell'ultimo saluto. E' arrivato nella basilica di Sant'Ambrogio con largo anticipo, quasi volesse accorciare i tempi e non disturbare troppo. Lui, schivo e di poche parole, come lo sono spesso i triestini, ma dal cuore grande, era fatto così. Cesare Maldini era un mito del calcio, ma un uomo comune dagli occhi azzurri. Come lo hanno ricordato tra le lacrime le nipoti. “Tu che non ti perdevi neanche una partita in tv, ma che poi finivi per girare sul canale dei cartoni animati per farci contente”, le parole commosse dall'altare. Ecco, Cesare era questo. Ma papà Maldini era anche quell'uomo che mai si era spostato dal quartiere Bianchi, il quadrilatero a due passi da viale Abruzzi della Milano che lo aveva adottato, dove un tempo sorgeva la fabbrica delle famose biciclette, e che ogni mattina capitava di incrociare sul marciapiede oppure al bar davanti casa sempre pronto a salutare o sorridere ai tanti che lo riconoscevano.
Lì sono cresciuti i figli, lì ha vissuto per anni Paolo e lì vivono ancora figli e figlie. Non si era scelto una villa lussuosa in un quartiere esclusivo. No, non era nel suo carattere. E nella mattinata grigia in cui ha salutato tutti è emerso proprio il tratto di uomo semplice ma dal cuore immenso. “Era una vera persona di sport, non come i tanti pagliacci che ci sono oggi nel calcio”, commentava amaro un signore in su con l'età durante il funerale sul sagrato di Sant'Ambrogio. Come dargli torto. Ciao Cesare, uomo di sport e maestro di vita.

Ultimo aggiornamento: Martedì 5 Aprile 2016, 14:49

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