Paolo Jannacci: «Ho scavato nell'archivio di famiglia per ritrovare l'attualità di papà Enzo»

Paolo Jannacci pubblica "Enzo Jannacci - Qualcosa da ascoltare - tra inediti e rarità"

Paolo Jannacci: «Ho scavato nell'archivio di famiglia per ritrovare l'attualità di papà Enzo»

di Rita Vecchio

L'unicità lo contraddistingueva. Enzo Jannacci resta raro e attuale. Nel vinile "Qualcosa da ascoltare - tra inediti e rarità" che esce oggi, rivive la genialità di un artista all'avanguardia. Pioniere del rock e del cabaret, voce degli ultimi, amico di Giorgio Gaber e Dario Fo. È un disco elegante e puro, che ci riporta alle origini della sua carriera. A raccontarlo, il figlio Paolo. È nella casa milanese della nonna materna, scenario dello scatto della splendida foto in copertina. 


Dieci anni dalla sua scomparsa. Qual è lo stato d'animo con cui è nato il disco? 
«Di gioia e di complicità, di amore e di nostalgia nei confronti del mio papà». 


Emotivamente forte? 
«Sì. Per anni ho salvato bobine e ho scavato nell'archivio. È il tassello mancante, da ascoltare in purezza, è un inizio dopo varie rielaborazioni. Ci sono gli anni 60, "La Milano di Enzo Jannacci", "Sei Minuti All'Alba" e "Jannacci a teatro", c'è mio padre con il suo gelosino, ovvero con il suo registratore, sul pianoforte e con il tasto play acceso». 


Gli sarebbe piaciuto? 
«L'avrebbe definito "proprio un bell'oggettino"».


Che ricordi ha? 
«Uno dei più belli è quando andavamo a lavare l'auto insieme e ci interrogavamo sul senso della vita».


Quanto è attuale? 
«Per me, tanto. I temi che descriveva lo sono. Gli ultimi, la guerra, la città che evolve. Temi che per le nuove generazioni, purtroppo, sono scontati o noiosi».

 
Tre inediti. "Con le mani sopra il viso"', "Non posso sporcarmi il vestito", nel film di Verdelli uscito a settembre, e "Il vestito dell'altro ieri". 
«Descrivono una visione pseudo-romantica di due amanti, con metafore sparse.

C'è noir, surrealtà e satira. La prima potrebbe averla scritta per mia madre. Non ne sono sicuro, ma gli anni coincidono». 


Nella copertina c'è una foto che li ritrae. 
«L'ha scattata mio nonno. All'inizio non vedeva di buon occhio che mia madre uscisse con un jazzista peraltro non ancora laureato. Dopo si ricredette. Ma posso capirlo, era un po' perplesso, come lo sarei io se mia figlia quindicenne oggi arrivasse a casa con un rapper». 

Però con i rapper, J- Ax in Desolato per esempio, ha collaborato. 

«Il rap è uno dei mezzi di comunicazione più immediato che esista. Dissi tantissimi anni fa proprio a J-Ax che era il nuovo cantautore. Si era ribaltato tutto, e i rapper avevano più cose da dire dello stesso cantautorato. Ora è il rap nella parabola discendente». 

E del politically correct?

«Lo avrebbe definito disarmante, ma allora si poteva dire quello che si voleva. Io in più di un pezzo ho dovuto fare autocensura»

E’ arrabbiato?

«Sì. Ma purtroppo non hai scelta. O combatti contro il mondo e perdi, oppure ti adegui». 


La strofa de "Il primo furto non si scorda mai", brano nel disco, era stata cambiata. Da "Chi conosceva i tacchini era Giovane Fascista" a "era già quasi socialista". 
«Sì, ma li cambiava lui. Se penso all'esegesi dei brani mi metto a ridere». 


Porterebbe all'Ariston questo lavoro? 
«Sarebbe il palco più bello. Se Amadeus mi dovesse invitare, risponderei sicuramente sì».


Ultimo aggiornamento: Sabato 25 Novembre 2023, 16:59
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